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Musica

L'intervista: Leo Pari

Redazione Urban

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Ho incontrato Leo Pari poco prima dell’uscita del suo nuovo album “Spazio”, un album diverso dai precedenti nel suono e nell’impostazione, ma che mantiene la riconoscibile e preziosa impronta del cantautore romano. E’ un album dalle forti influenze anni ’80, ispirato a quel tipo di pop, che non era certamente paragonabile a quello privo di contenuti e sperimentazioni di cui le radio abusano ultimamente. Leo Pari con questo album vuole darci l’ennesima conferma che nel panorama romano qualcosa si stia muovendo in maniera decisa e che questo sia solo l’inizio di una grande rivoluzione all’interno della musica indipendente italiana.
Ti ispiri al 1986 per questo album. Quali caratteristiche della musica e della vita negli anni’80 hanno attirato la tua attenzione?
Gli anni ’80 sono quelli della mia infanzia, gli anni in cui sono cresciuto guardando un sacco di film e telefilm di fantascienza che ti facevano sognare realtà lontanissime ma allo stesso tempo possibili, e volevo riportare un po’ di quegli scenari all’interno di questo album, soprattutto attraverso il sound che ho utilizzato. Penso a quanto fosse perfetta la musica di Giorgio Moroder per “La storia infinita” o quella di Carpenter per “1997:fuga da New York”, penso al film “Labyrinth” a “Mad Max”, insomma, avevo voglia di fare un lungo viaggio nel passato, e la mia macchina del tempo sono stati i sintetizzatori. E poi gli anni’80 sono quelli della nascita del POP, della musica semplice ma efficace, con melodie fresche adatte a tutti, finalmente libere dai barocchismi del decennio precedente, un po’ una rinascita se vogliamo, e io avevo voglia di rinascere con “SPAZIO”. Che poi il sound che ho ricercato neanche è fedelissimo al synth-pop di questi anni, diciamo che mi sono lasciato ispirare da quelle suggestioni sonore, ma poi ci ho messo parecchio di mio.
Lo definisci come un lavoro molto diverso dai precedenti e in effetti ascoltandolo non si può far altro che darti ragione. C’è molta elettronica e può certamente definirsi un disco pop.
Assolutamente sì, Pop è una definizione che mi piace molto e che utilizzo sempre con accezione positiva. SPAZIO sì, è diverso da quello che ho fatto prima, non tanto nella scrittura quanto nel sound e negli arrangiamenti che ho curato in prima persona insieme al producer Sante Rutigliano. C’è parecchia elettronica ma analogica, non ho utilizzato software o VST (strumenti virtuali), che non sono mai soddisfacenti dal punto di vista della resa qualitativa. Principalmente ho programmato e suonato molte tastiere del periodo fine ’70 inizio ’80, e il lavoro è stato piuttosto lungo e macchinoso, considerando che molti di questi apparecchi ancora non davano la possibilità di salvare il suono, quindi ogni volta che modificavo il suono che stavo utilizzando in pratica lo perdevo e dovevo ricrearlo da zero. Una piccola follia che però sarei pronto a ripetere anche domani.
Spesso questo genere viene guardato con sospetto, come se la sua leggerezza non possa esprimere dei contenuti importanti. Cos’è il pop per te? Vuoi dimostrarci che anche dall’indie possono venir fuori degli ottimi progetti pop?
Per me Pop sono anche i Beatles, anzi forse hanno inventato loro questo genere, e comunque tutto quello che è fruibile dall’ascoltatore medio. Poi c’è Pop di alta qualità e Pop commerciale realizzato senza passione e senza idee. Purtroppo in radio, parlo dei grandi networks, si ascoltano spesso canzoni  mediocri, spesso banali nelle armonie nel sound e soprattutto nel testo, mentre invece proprio dalla scena indie stanno uscendo proposte Pop di grande qualità. Anzi credo che ci sia il desiderio da parte della scena indie di sostituirsi con canzoni di livello a quella musica leggera e commerciale che continuano a propinarci e che secondo me non piace più a nessuno. In particolare a Roma si è creata una bellissima scena di autori di canzoni che potrebbero, e dovrebbero, passare in altissima rotazione su radio e tv al posto di tante altre frivolezze prive di cuore e di senso.
Il titolo “Spazio” fa pensare all’universo, ma anche alla distanza, alla voglia di avere uno spazio proprio. Qual è l’interpretazione che tu dai al titolo?
SPAZIO è una parola che si presta a molte interpretazioni. Il titolo me l’ha suggerito l’amico Gianluca de Rubertis quando gli spiegavo che avevo bisogno di un titolo che facesse pensare alle galassie, ai viaggi interstellari, ma che allo stesso tempo esprimesse la dilatazione dei suoni che avevo utilizzato. Ugualmente SPAZIO ha un valore sociale molto forte, ci sono molti talenti oggi che meriterebbero uno spazio maggiore, una possibilità in più per esprimersi, e non parlo solo della musica, ma anche della letteratura, della scienza, dell’architettura, della pittura e così via. Il nostro spazio vitale sembra infinito grazie alle tecnologie comunicative che ci circondano, ma in realtà si è ristretto molto rispetto al passato.
L’impronta battistiana è fortissima. Quanto ha influito sul disco la tua esperienza coi Lato B?
Ho sempre avuto una forte passione per Lucio Battisti, che per me è stato uno tra i pochissimi musicisti italiani ad aver avuto un sound che potesse competere ad alti livelli con quello internazionale. In Italia, non so perché, abbiamo sempre dato tantissima importanza ai testi e molta poca alle produzioni musicali, che invece sono fondamentali; se devo cercare un poeta preferisco farlo leggendo un libro. Lato B è appunto un progetto su Battisti che insieme a De Rubertis, Dario Ciffo e Lino Gitto ho portato sui palchi di tutta Italia. Ultimamente abbiamo reinterpretato all’Angelo Mai di Romas l’album “Anima Latina” allargando l’ensemble a 16 elementi e devo dire che è stata un’operazione che ha riscosso tantissimo successo, ma soprattutto è stata davvero formativa per tutti noi. Probabilmente lo porteremo in tour.
Quali sono i segreti degli uomini?
Con questa canzone ho immaginato di dare una risposta a distanza di anni a “Quello che le donne non dicono” di Ruggeri, famosa nella versione di Fiorella Mannoia. Sono quegli istinti comuni alla maggior parte degli uomini che molto di rado vengono confessati davanti a una donna, in particolar modo alla propria, ma che ridondano in qualsiasi spogliatoio dopo una partita a calcio o al bancone di qualche bar. Che poi neanche spiego quali sono nella canzone, dico solo che ci sono.
Chi è questa Ave Maria piena di graffi?
E’ la fede, che oggi si è persa. Io non sono credente, ma cerco di avere fede nella vita, cerco di credere in qualcosa, di sperare, anche se non riconosco nessun dio. Spesso chi è molto pio e credente e si atteggia a tale mi ha sorpreso per la superficialità con cui affronta la propria esistenza. Non voglio di certo generalizzare, è una mia personale considerazione e non vale per tutti. Comunque la canzone è una considerazione sulla miseria della condizione umana e anche un richiamo alla ricerca di valori, siano essi nella religione o meno.
Che tipo di live dobbiamo aspettarci dopo l’uscita del disco? Manterrai i suoni elettronici dell’album e magari li userai per dare nuova veste ai tuoi vecchi brani, oppure punterai per un set più essenziale ed elettrico?
Il live che sto preparando sarà molto fedele alle sonorità dell’album. Abbiamo aggiunto un tastierista di ruolo proprio per poterci permettere di ricreare quei tessuti sintetici su cui si struttura SPAZIO. Stiamo anche rivisitando le canzoni dei dischi precedenti, che avranno una bellissima e lucente veste nuova.

PRESENTAZIONI DAL VIVO: 23 APRILE, MONK CLUB, ROMA –
30 APRILE, OHIBO’, MILANO
LEO PARI SARA’ OSPITE DELLO SPETTACOLO DEI THEGIORNALISTI AL CONCERTO DEL PRIMO MAGGIO DI ROMA.

Egle Taccia

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