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Musica

IOSONOUNCANE incanta Catania con la versione acustica di DIE

Redazione Urban

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Lo scorso 12 dicembre, il Teatro Coppola di Catania è stato protagonista dell’ultima data del tour 2015 di IOSONOUNCANE,  nome d’arte di  Jacopo Incani.  Il suo DIE, uno degli album italiani più belli di questo anno ormai finito, ha conquistato il pubblico catanese anche nella sua versione acustica, veste che Jacopo ha deciso di adottare nelle fasi conclusive della tournée. Spinto probabilmente dalla curiosità di scoprire se i suoi brani, presentati in una forma totalmente asciutta, potessero avere un’ulteriore chiave di lettura, Jacopo ha messo da parte gli arrangiamenti elettronici, il campionatore e la loopstation,  per regalarci una visione scarna e senza fronzoli di un disco per il quale, meritatamente, ha ricevuto, in ex aequo con Cesare Basile, il Premio Artista Indipendente dell’anno, nonché due candidature alle Targhe Tenco.
Il Coppola è quasi pieno, molti sono ancora fuori a fare il biglietto, le luci si abbassano e sul palco sale Marco Zitelli, alias  Wrongonyou,  musicista romano che ha il compito di aprire le danze: nessuno, o quasi, sapeva della sua esibizione, per cui, con curiosità e piacevolmente sorpresi, ascoltiamo i brani di Rodeo, suo album d’esordio: Marco canta in inglese accompagnato da una musica di chiara influenza americana in cui elettronica, folk e ambient si mescolano armoniosamente fra loro. Il teatro si riempie completamente, Wrongonyou ci ringrazia e lascia la scena al protagonista indiscusso della serata.  IOSONOUNCANE  arriva insieme a  Serena Locci,  voce e anima femminile  di  DIE:  si crea subito un’atmosfera intima, complice la luce di sei lampade posizionate attorno ai due cantanti ed a una scenografia essenziale che, per tutto il tempo, ci daranno l’impressione di assistere ad una pièce teatrale, più che ad un concerto. D’altronde, il tema centrale dell’album è la storia tra un uomo, partito per il mare e che teme di morire, e una donna che, sulla terraferma, aspetta timorosa di non rivederlo mai più.
Jacopo impugna la chitarra e sembra quasi che questa sia un prolungamento del suo corpo: con impeto ed estenuante fervore, e senza mai dare l’idea di stancarsi, il cantautore sardo rompe il silenzio, penetra nelle nostre orecchie e nelle nostre anime, ammaliate anche dalla bellissima voce di Serena. È strano, all’inizio, l’impatto con la versione “ossuta” di brani che abbiamo conosciuto in una veste iperarrangiata: Stormi,  ad esempio,  privato di synth e di tutto quel tappeto sonoro che ci fa venire voglia di ballare quando lo ascoltiamo su disco, sul palco del Teatro Coppola suona come qualcosa di diverso, quasi un’occasione per riflettere meglio sulle parole che lo compongono. Sì, è questa l’impressione che avverto ascoltando  DIE  in questa “nuova” versione: ti senti costretto a fare i conti con la scrittura dei brani, una scrittura non semplice, frutto di un lavoro minuzioso che Jacopo ha elaborato nel corso di tre anni e che, forse, le musiche originali tendono a mettere in secondo piano. È un linguaggio che punta in alto quello che caratterizza il secondo lavoro di Incani, quasi un componimento in versi che celebra il rapporto tra uomo e dimensione rurale: sole, sale, fame, sete, pietra, le parole che in maniera ossessiva ricorrono più spesso. Perché  DIE  è anche un disco sull’amata Sardegna, sul rapporto ancestrale con la terra, aspetto che l’adattamento acustico esalta e risalta continuamente.  E c’è dell’altro di cui ti accorgi grazie a questa rappresentazione scarna e minimale dei brani, ossia della voce dell’autore: una voce corposa, una timbrica ed una vocalità potente che, personalmente, non riesco a rintracciare tra i cantanti più in voga all’interno dell’attuale panorama indie italiano. Una dote che gli permette di poter eseguire egregiamente due cover, Vedrai, vedrai  di Tenco  e  Il cucciolo Alfredo di Dalla.
Sul palco, Jacopo resta concentrato, completamente assorto, come in un’estasi mistica; non è incline alla chiacchiera e gli scambi col pubblico si riducono ad un semplice “grazie” alla fine di ogni esibizione, salvo poi rispondere agli ululati di un cane, presente anche lui al concerto, prima di suonare  Il corpo del reato,  brano contenuto nel suo primo lavoro  La Macarena su Roma  e da cui estrapola anche  Torino pausa pranzo e Giugno con cui si congeda dal pubblico catanese avvolto dai nostri sentiti e meritatissimi applausi.
Laura De Angelis
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