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Musica

L'intervista: UNA

Redazione Urban

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Ho incontrato Una per parlare della sua serata sanremese, del significato che attribuisce al concetto di indie e del suo brano, Amare Stanca, che si rifà alle emozioni legate a certi brani del passato.
Interessante chiacchierata, davvero!
Cosa significa per unartista come te, espressione dellindie italiano, riuscire ad avvicinarsi al mondo di Sanremo, simbolo del mainstream nostrano?
A dire il vero faccio fatica a ridurre la mia identità artistica alla parola indie, nel senso che se indie significasse autoprodurre gli album, scegliere autonomamente la produzione artistica per un disco, adottare il linguaggio che più mi si addice, trattare tematiche che mi stanno a cuore, essere pubblicata da un’etichetta indipendente, fare altri lavori per potermi permettere di continuare a fare musica, allora si, sarei un’artista Indie a tutti gli effetti 🙂 Se invece con indie intendiamo un genere musicale di riferimento, allora ti risponderei di no, semplicemente perché credo di essere giunta alla conclusione che non esista più una distinzione estetica e artistica tra pop e indie, la differenza è solo data dai mezzi, dai soldi che ci sono dietro un’operazione. Ci sono brani di recente pubblicazione, notoriamente pop che sono stati firmati da autori della scena “indie”, vedi Luca lo Stesso ( Luca Carboni), o Logico ( Cremonini ), che riempiono stadi perché vengono passati da tutte le più grosse radio almeno venti volte al giorno, ma i loro autori sono leader di band indie che fanno sold out da 300 persone quando va bene e che in radio non li sentirai mai.  Allo stesso modo penso che la parola mainstream ormai non si addica più nemmeno a Sanremo dato che viene seguito sempre da meno pubblico e che molti artisti che vi accedono di “main” hanno davvero poco! In ogni caso Sanremo resta una grossa vetrina e se dietro hai una buona squadra di lavoro e un progetto artistico solido, è un’esperienza che può solo regalare delle opportunità in più.
Raccontaci cosa hai provato, come hai vissuto il momento in cui ti comunicavano la notizia della tua partecipazione alle selezioni televisive per Sanremo Giovani?
Quando mi ha chiamata Carlo Conti, ho provato una felicità immensa, anche perché venivo da un periodo di forte assenza di stimoli e sfiducia, quindi mi serviva una botta emotiva del genere 🙂
Tu di gavetta alle spalle ne hai tantissima, visto che hai calcato i maggiori palchi nazionali e internazionali. Ci parli anche di queste esperienze?
Devi essere votato alla vita del musicista, perché la “gavetta” a volte può essere infinita, devi essere pronto a rinunciare a molte cose della vita cosiddetta “normale” e adeguarti ad una quotidianità sui palchi, in tour e in studio. Devi avere una grande determinazione e soprattutto motivazione, perché quello della musica è un mondo che sa essere tanto meraviglioso e divertente, quanto spietato e ripetitivo. Di certo però porterò sempre nel cuore il tour in America per Hit week perché è stata la prima volta che ho suonato all’estero e lo Sziget Festival che per ben tre volte mi ha ospitata come artista italiana, facendomi toccare con mano la grande differenza di mentalità e approccio alla musica, rispetto a quella a cui siamo abituati.
Ti hanno definita una sorta di Gianna Nannini in versione indie. Ti ci ritrovi? Tu come ti definiresti?
Anche se la stimo moltissimo, come donna e come artista, in quest’analogia non mi ci ritrovo per niente. La mia voce non è così rauca e la mia scrittura a volte sfiora punte di malinconia che non ho mai riscontrato nella musica di Gianna Nannini. In Italia siamo abituati a fare sempre degli accostamenti, le cose differenti, nuove, sono sempre difficili da collocare nel presente.
Ci parli del tuo brano, Amare stanca?
E’ un brano che parla dell’eterno dualismo dei sentimenti. Amore e odio, due volti della stessa medaglia e la dura scoperta che  a volte l’unità di misura dell’amore sia proprio la perdita. Ho voluto sottolineare la passionalità del testo con una musica composta in stile canzone italiana anni ’60, un po’ stile “Storia d’Amore” di Celentano e “Ma che freddo fa” di Nada, perché trovo che quella sia stata un’epoca di grande carica emotiva e profonda ispirazione artistica.
Che messaggio hai voluto veicolare con la tua presenza su quel palco?
Bisogna essere molto perseveranti e positivi. Anche se non sono riuscita ad arrivare all’Ariston, aver potuto cantare una mia canzone in prima serata sulla Rai e poter arrivare a molte più persone è stato un onore e una bella responsabilità. Sono una persona semplice che ha sempre lavorato tanto nella vita e continuerà a farlo. E’ sempre bello quando arriva qualche gratificazione.
Ti ha emozionata esibirti in tv, davanti a tutta la nazione?
Incredibilmente tanto. Ed è stato bellissimo!
Egle Taccia
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