Musica
L'intervista: Romina Falconi
L’intervista: Romina Falconi
Romina Falconi ed Immanuel Casto sono in giro col loro Sognando Cracovia Tour 2015, che sabato prossimo farà tappa a Bologna, al Locomotiv Club in occasione della serata per l’arrivo della primavera “OMAGGIO ALLA NINFA DELLE DELIZIE TERRENE”. Ho approfittato di qualche momento libero tra un palco e l’altro, per fare qualche domanda a Romina Falconi, chiedendole di raccontarci dei suoi inizi e dei suoi recenti progetti discografici.
Come ti sei avvicinata alla musica?
A 4 anni, ascoltando Whitney Houston e i Queen; immaginavo questi cantanti capaci anche di volare, niente riusciva a farmi staccare dallo stereo. Ho iniziato a pensare a me come una cantante, come qualcuno che poteva comunicare attraverso la musica e l’idea mi attraeva tanto. A 8 anni ho cominciato a fare piano bar.
Ci parli della tua trilogia?
Insieme al mio manager, Jacopo Levantaci, ho cercato di studiare un modo alternativo di presentarmi al pubblico. Abbiamo diviso un album in tre e scelto di realizzare tre Ep digitali per poter curare bene ogni passaggio: ogni ep doveva avere due singoli, e quindi due video. L ‘idea era di sudarsi ogni piccolo traguardo senza soccombere alle regole di questo mercato musicale, che per un cantautore emergente vanno un po’ strette. Ho scoperto mesi dopo, molto sorpresa, che il bello di un progetto indipendente è proprio il poter creare e presentare ciò che si preferisce. Mi sono goduta tutto con la giusta calma e ho vissuto un anno bellissimo. “Certi sogni si fanno” “attraverso” “un filo d’odio” mi hanno dato la possibilità di presentarmi così come sono. Mi sono potuta permettere di cantare canzoni molto drammatiche e subito dopo molto leggere. Il risultato sconvolgente è che dopo un anno di video e di libertà sudata piano piano, molte persone hanno capito come sono e non si stupiscono dei miei trasformismi, anzi: ogni volta sanno che la volta dopo c’è un cambiamento. Hanno addirittura capito che non amo le vie di mezzo, tutto è sempre molto teatrale. Una piccola rivoluzione personale; qualche anno fa non avrei mai creduto di poter realizzare tutto questo.
Ci vuole un “Filo d’odio” per condire la vita?
Assolutamente. Soprattutto: ci vuole un filo d’odio per se stessi. Trovo sia sbagliato accontentarsi. Ho una teoria: in una storia d’amore e/o di passione serve sempre un pizzico di disprezzo, altrimenti col tempo si finisce per essere fratelli più che amanti. Lo stesso vale per la vita: se una persona si crede sempre nel giusto, se ognuno di noi passa il tempo a coccolarsi le ferite senza mai provare un po’ di sano odio per la propria persona, si finisce col non crescere più, col non volersi mai più superare. Guai togliere gli ostacoli ad un uomo, guai a chi si ama troppo.
Con chi hai lavorato ai tuoi brani?
Con Filippo Fornaciari (The Long Tomorrow) e Keen. Ho passato i giorni e le notti, di mesi che scorrevano velocissimi, a studiare e inventare cose che reputavamo originali. A mio parere ci siamo riusciti. Questi ragazzi non ancora contaminati da certe mode mercenarie, che vanno tanto di questi tempi nel mondo musicale, mi hanno letteralmente salvata. Dico salvata perchè ogni volta che proponevo le mie idee a molti addetti ai lavori mi sentivo guardata come un’aliena con la parrucca. Alla domanda: “che tipo di cantautrice sei?” rispondevo:”sono molto teatrale o molto frou-frou, o si muore o si ride”. L’esito era sempre:”L’Italia non è pronta agli estremi”. E invece dopo nove mesi dal primo ep mi sono ritrovata con Immanuel Casto all’Alcatraz e c’erano davvero molte persone che cantavano le mie canzoni. Lo sai che negli anni ’80 c’erano mille tipi di cantanti donna, molte volte anche pronte ad affrontare temi audaci, scomodi, forti e al giorno d’oggi sembra che la regola sia:”fare in modo che ogni messaggio sia sempre e solo pulito, da brava persona”? Non che io non sia una brava persona, ma se una come me deve dire “vaffanculo”, lo dice.
Quanto è importante la sincerità nel presentarsi al pubblico?
Io la trovo fondamentale. Ad oggi non vale la pena cercare di essere ciò che non si è, perchè già le occasioni sono poche per far uscire i singoli e i dischi, se poi uno non è neanche se stesso, chi gli dà la sicurezza che è giusto fingere senza mai doversene pentire? Nei testi in particolare, voglio credere che l’originalità vera è proprio potersi permettere la sincerità. Al rigurado il mio mito è Guccini.
Com’è nata la tua collaborazione con Immanuel Casto?
E’ nata grazie al mio manager che è anche il suo. Immanuel aveva scritto “Crash” e ho voluto provare a cantarlo. Mi piaceva molto il Casto e volevo mettermi in gioco con un artista così libero e geniale. Crash in pochi giorni aveva fatto tantissime visualizzazioni. Venivo dal tour di Eros e per me era una sfida. Con il tempo siamo diventati amici ed oggi non faccio che confrontarmi con lui. Gli chiedo consigli e so che sa essere lucido come pochi artisti.
Sei stata in tour anche con il grandissimo Eros Ramazzotti. Ci racconti un ricordo o un aneddoto relativo a questa esperienza?
Il tour con Eros è stata una scuola incredibile. Ho girato il mondo in un anno e avuto modo di lavorare con musicisti di fama mondiale come Gary Novak, Mike Landau e Reggie Hamilton. Ero grata di poter imparare ogni giorno una cosa diversa. Tutto era molto serio durante lo show ma capitava spesso che ci facessimo degli scherzi tra una canzone e un’ altra. Una volta avevo la labirintite(è un’infiammazione del labirinto e si perde l’equilibrio, praticamente è come sentirsi dentro una centrifuga, non ci si regge in piedi), durante lo show ho temuto di cadere di faccia tra la folla; allora mi inginocchio manco fossi Jimi Hendrix quando faceva gli assoli e continuo a muovere le mani in alto come le altre coriste; passa Eros vicino a me (sempre cantando) e mi ha guardata divertitissimo e un po’ perplesso, come se avessi scelto di creare una coreografia tutta mia. Si rideva spesso.
Che progetti hai per i prossimi mesi?
Sto scrivendo cose nuove e organizzando il prossimo video in uscita a Maggio.
Egle Taccia
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