Musica
L'Intervista a I Cani dei Portici: Due il loro nuovo album
Dopo l’esordio del 2013 “Cave Canem”, in occasione dell’uscita di Due, il nuovo lavoro dei Cani dei Portici, ci abbiamo fatto due chiacchiere.
Il nome mi incuriosisce da dove nasce? Ascoltando il vostro secondo lavoro, dove energia e rabbia si alternano a fasi rilassanti, mi viene in mente l’immagine di un cane abbandonato che vive queste due fasi…c’entra qualcosa?
Il nome incuriosisce sempre tutti, quindi pare che in qualche modo colpisca.
È nato da un’immagine proveniente dalla città in cui siamo cresciuti, Crotone: capitava di notte di vedere questi cani andare in giro in branco, silenziosi, sotto i portici; erano randagi, eppure la sensazione che se ne aveva era che fossero i padroni della strada. Io (Demetrio) e Claudio viviamo a Bologna da quasi dieci anni ormai, e uno dei punti in comune tra le due città è che appunto entrambe hanno i portici. Col tempo ci siamo affezionati alla figura del cane collegata a noi, il cane della strada, dei portici appunto, rispecchia un po’ anche il concetto dell’underground. E poi il cane è fedele, che è una dote rara. E insomma anche noi siamo pelosi e puzziamo spesso.
Ci dicono continuamente che i nostri brani, soprattutto live, danno l’idea di un branco di quadrupedi che fa cagnara. Quello che giustamente dici di sentire, gli improvvisi cambi di mood, sono nel nostro dna compositivo, ma a differenza di Cave Canem (il primo disco) qui è tutto più cupo e tormentato: riflette il periodo della stesura e della registrazione del disco, nel quale io e Claudio abbiamo vissuto, parallelamente e insieme come duo (che una volta, infatti, era un trio), diversi momenti di difficoltà.
Suonare in 2 scelta o necessità visto l’impatto della vostra musica?
Una volta, come ti dicevo, eravamo un trio, formazione di standard nirvaniano d’assalto. Poi Fabio, che era il bassista è che un nostro grande amico, ha deciso di abbandonare completamente la musica. Il colpo lì per lì è stato duro ma noi due teste di cane ci siamo intestarditi, abbiamo ingrossato l’amplificazione e riscritto la musica in due. Io e Claudio abbiamo una sinergia immediata nel comporre e nell’eseguire i brani, quindi credo che due sia il nostro numero perfetto. Ad ogni modo amiamo un gran numero di strumenti e vorremmo sentirli nei nostri pezzi, quindi pensiamo spesso a qualche collaborazione, che è una cosa diversa. Ma i Cani Dei Portici sono tanti in realtà, grazie a tutti gli altri canidi e cinofili che ci supportano, ai quali siamo gratissimi.
Due è un disco strumentale è una scelta per dare valore alla Vs musica o sarebbe difficile trovare un cantato originale per questo tipo di suoni?
Risponde tutto al mood. “Cave Canem” aveva dei brani cantati. “Due” ha solo qualche parola sussurrata o urlata, ma credo appunto che ciò derivi da quello che sentivamo: zero parole, urgente bisogno di sfogo. Non ci poniamo mai alcuna linea guida, magari le prossime composizioni saranno piene di parole: entrambi veniamo da una formazione d’ascolti musicali in cui il cantato è fondamentale, ed inoltre io affianco, o insomma ci tento, l’attività musicale a quella della scrittura. Insomma i presupposti ci sono anche se nell’ultimo disco abbiamo abbaiato maggiormente con gli strumenti.
Trovo Jonio molto in sintonia con la copertina del disco…. È un caso?
No, non è un caso. Claudio ha composto e registrato Jonio in una notte, figurandosi precisamente l’immagine di quel mare, del quale aveva anche registrato i suoni che si sentono in sottofondo e nell’intro del disco. La copertina, scura e agitata, è opera del fotografo Francesco Gentile, passata poi attraverso il filtro di Elena Anna. Abbiamo subito sentito nostro quello scatto.
Avete suonato con grandi musicisti italiani da Bologna Violenta a Giorgio Canali, gli Zu e i Bachi da Pietra. C’è qualche artista straniero con cui vi piacerebbe condividere un palco o collaborare?
La lista dei gruppi sarebbe un manoscritto. Ma se devo proprio fare un solo nome, allora dico che non mi darò pace finché non faremo qualcosa coi Melvins. Sognare è gratis, e i sogni dei cani devono essere ancora più belli.
Intervista a cura di Valerio Vergani