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Best new: Velodrama

Redazione Urban

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Abbiamo intervistato i romani Velodrama, all’esordio discografico con L’eticAmorale per Latlantide, un disco carico di spunti su tematiche sociali forti. Ci hanno raccontato della loro esperienza in studio con la produzione, del loro sound, fino a una profonda riflessione sulla speranza di cambiare lo stato delle cose attraverso la riscoperta dell’arte e, in particolare, della musica.
L’EticAmorale, uscito lo scorso marzo, è il primo vostro full-lenght. La prima cosa che si nota, per me, sono le tematiche forti dei testi, soprattutto tematiche sociali. Quali sono, nello specifico, le caratteristiche della nostra società che hanno portato alla scrittura dei vostri testi?
Posso dire che viviamo in una società priva di strutture che garantiscano un buon funzionamento, e noi ne paghiamo le conseguenze, in particolare la fascia post-trentenni, che mi riguarda. Sembra non esserci futuro per noi, manca il lavoro, mancano le agevolazioni per la piccola imprenditoria giovanile, e non mi riferisco alle agevolazioni finanziarie, ma a quelle burocratiche; personalmente ho conosciuto tanta gente con idee valide che esponeva progetti affascinanti per ogni tipologia di attività commerciale, ma successivamente sono stati smontati dalla demoralizzante burocrazia che incatena la libertà di produrre.
Cos’è per voi, dunque, l’etica amorale dei nostri giorni?
Il medioevo del presente, dove per il momento non c’è futuro.
Ho letto che l’album ha usufruito della produzione di Alex Marton. Quali sono state le conseguenze sull’album, in fin dei conti, di una mano esterna alla band?
La collaborazione con Alex, più amichevolmente chiamato Roger, è nata nel 2011 con la coproduzione del nostro primo singolo L’Immagine, e da lì abbiamo deciso di continuare il nostro percorso artistico con lui. Nel disco l’EticAmorale, Alex non solo ha dato il meglio di sè come co-produttore e come fonico, ma è stato anche un importante consigliere artistico, dando in diverse occasioni delle buone soluzioni armoniche.
I singoli dell’album, Io personalmente me ne frego e I miei giorni di anarchia, rappresentano un po’ i due filoni stilistici principali a cui si rifanno i restanti brani dell’album: la prima è un pezzo rock tirato, diretto e dal sound essenziale; la seconda è più ispirata e morbida. Quali sono i riferimenti musicali di questo album?
Dal punto di vista strumentale, la nostra fonte di massima ispirazione va dai primi Placebo, all’intramontabile punk rock dei Nirvana, mentre dal punto di vista letterario, senza ombra di dubbio Rino Gaetano.
Il video del vostro singolo Io personalmente me ne frego è una rivisitazione dell’episodio biblico dell’ultima cena. Vi va di spiegarcela?
Nel videoclip del brano di ‘Io personalmente me ne frego’ abbiamo voluto dare più spazio all’analisi introspettiva, in cui prevale questa sensazione di isolamento e allontanamento dalla società. La scelta di rappresentarla tramite una versione decontestualizzata dell’ultima cena non è casuale. Il protagonista, il Cristo, si isola completamente dai suoi commensali che, si badi bene, non rappresentano i suoi seguaci, i suoi apostoli, ma sono tutti dei Giuda pronti a tradire, a sacrificare e a sfruttare. Il fatto che siano legati e incatenati tra loro sottintende, da un parte, la loro compartecipazione nella distruzione dell’attuale società e dei valori legati al passato, dall’altra evidenzia come le azioni, le scelte di uno influenzino, irrimediabilmente, le azioni del prossimo. Il protagonista decide di non fare parte di questa catena di azione-reazione, non vuole partecipare a questo gioco distruttivo, allontanandosi e allontanando da sé ogni tentazione possibile.
Scrivere canzoni “impegnate”, oggi, è sicuramente diverso da come si faceva nelle canzoni di protesta di Dylan e altri. Oltre al fine artistico, quali sono gli obiettivi di chi, come voi, sente di dovere denunciare la società nella propria musica? Faccio questa domanda perché nei vostri testi ho riscontrato, a volte, parole o frasi che lasciano pensare ad una rinascita, o comunque ad una speranza che le cose vadano meglio.
Voglio complimentarmi con te perché sei uno dei pochi ad aver capito il fondo di speranza e di rinascita che emerge dai nostri testi, molti ascoltano solo la superficie della protesta, colpa di una mentalità disabituata alla musica di denuncia sociale, in stile Dylan, o ancor meglio Rino Gaetano. Credo che il nostro compito sia quello di spronare le persone ad una rinascita sociale attraverso la musica, per migliorare la nostra vita, ma in particolare la vita di chi non ha le capacità psichiche e motorie per poterlo fare. Quando cammino per strada e mi capita di incontrare bambini disabili, con seri danni fisici e psichici, provo un forte senso di rabbia, perché penso che chi gode di una buona salute non stia facendo abbastanza par cambiare questo Paese. Spesso ci si addormenta nell’egoismo del minimo benessere personale, con un cellulare da 700 euro fra le mani, come se questo inutile oggetto possa in qualche modo appagare una piccola parte dell’insoddisfazione umana trascorrendo un’infinità di tempo a chattare su facebook. Il fenomeno dei blog più conosciuti, dimostra che le persone non hanno perso la voglia di condividere i propri pensieri e le proprie emozioni, tuttavia ci si sta dimenticando che esistono luoghi dove l’arte diventa cultura e condivisione di idee atte a cambiare lo stato delle cose, nel nostro caso la musica, quindi il consiglio che mi sento di dare è questo: spegnete il vostro piccolo computer, uscite di casa e venite a sostenere la musica che racconta della speranza, perché la capacità di cambiare la nostra esistenza è ancora viva!
Articolo di Giuseppe Tancredi
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