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Best New: Cappadonia
Da pochi giorni è stato pubblicato “Orecchie da Elefante”, disco d’esordio del cantautore e polistrumentista Cappadonia. L’album è stato prodotto da Alessandro Alosi de Il Pan Del Diavolo, che ne ha anche co-firmato alcuni brani. Un album che ci è piaciuto molto per i suoi suoni, che rompono gli schemi del cantautorato italiano, portandolo verso il folk e il rock. Tra gli ospiti del disco, oltre al già citato Alosi, ci sono Nicola Manzan (Bologna Violenta) e Gianluca Bartolo (Il Pan Del Diavolo).
Ho incontrato Cappadonia per conoscere meglio la sua musica e scoprire tutti i segreti di questi nove splendidi brani.
– “Orecchie da Elefante” è il tuo primo album solista. Alle spalle però hai già una lunga esperienza musicale. Ci racconti la tua storia?
Suono praticamente da sempre e ho fatto parte di diverse band. Ho pubblicato un paio di album con gli Aura, la band con cui partii tanti anni fa dalla Sicilia e vinsi diversi premi. In seguito mi sono unito ad altre band in tour da Gli Avvoltoi ai SickTamburo, e nell’ultimo anno e mezzo ho lavorato al mio disco mentre davo una mano con il merchandising ai ragazzi de Il Pan del Diavolo in tour.
– Quando hai capito che era arrivato il momento di pubblicare qualcosa di tuo?
È stato il produttore Alessandro Alosi a convincermi a pubblicare un disco solista, all’inizio non ero convinto e continuavo a pensare in termini di band, ma poi ho capito che era il momento giusto e dopo tanti anni dentro delle band è stato liberatorio.
– Com’è nata la collaborazione con Alessandro Alosi de Il Pan Del Diavolo e con gli altri tuoi ospiti dell’album?
Eravamo in tour, in sosta all’autogrill per essere precisi, prima di un concerto a Milano e Ale si è proposto di produrre il mio disco, così dal nulla. Ho capito subito che stava per accadere qualcosa di fantastico e tutto poi si è evoluto naturalmente, lavorando per oltre un anno tra un concerto e l’altro.
– Tu e Alessandro rappresentate due mondi musicali differenti, che però si fondono alla perfezione in questo disco. Ci parli di questi mondi?
In realtà Ale ha una conoscenza musicale e una varietà di ascolti sconfinata. Non è mai vincolato da nulla e si lascia ispirare dagli album più disparati. Quindi trovare dei punti di incontro è stato facile e anzi è stato bellissimo scoprirci a vicenda. Per ogni pezzo dell’album abbiamo cercato di creare un’atmosfera che magari ci aveva ispirato da qualche altro album, ma ogni volta siamo arrivati a qualcosa di nuovo e nostro. La chiave del nostro incontro musicale è il fatto di essere due cantautori. E abbiamo cercato di non vincolare la forma cantautorale tipica italiana all’interno dei confini del nostro Paese, provando a usare sonorità provenienti dai luoghi e dalle scene che amiamo come l’America e l’Inghilterra.
– Per come suona e come è registrato, è chiaro che hai puntato su uno stile più classico, senza grossi artifici, elettronici e non, andando in controtendenza rispetto a quello che si sente in giro ultimamente. Manterrai questo tipo di suoni anche nei live?
Certamente! La musica va suonata. E lo spirito dell’album verrà mantenuto anche nelle esibizioni live. Per quanto mi riguarda mi piace vedere una vera band sul palco. Chitarre, basso e batteria. Non amo vedere computer e tastiere sul palco. Non mi fraintendere, a volte un aiuto tecnologico può essere utile, ma sempre in funzione di musicisti che suonano sul palco. Questo è il rock’n’roll, sono cresciuto amando questo tipo di spettacoli e sono ancora quelli che amo. Anche se ultimamente forse non tutti la pensano così, soprattutto in Italia.
– Il brano che dà il titolo all’album mi ha colpita dal primo ascolto. Di cosa dobbiamo liberarci per andare avanti?
Le orecchie da elefante sono il peso che alcuni di noi si portano dietro inutilmente. In questo caso le grosse orecchie dell’elefante rappresentano una sensibilità che spesso ci danneggia perchè ci espone e ci rende vulnerabili a qualsiasi cosa esse riescano a percepire. A volte bisogna rendersi conto che è necessario alleggerirsi e sgravarsi del peso di tante battaglie inutili. E’ importante per arrivare infondo alla nostra strada, con serenità e senza essere schiavi di niente e nessuno.
– Le track dell’album scorrono in un percorso sia musicale che interiore. Qual è il punto di partenza e quello di arrivo del disco?
Il punto di partenza è la presa di coscienza. La canzone “Orecchie da elefante” è scritta come se fosse una ipotetica seduta di psicanalisi dove chi parla e chi ascolta però sono la stessa persona. Il rendersi conto dell’inutilità di trascinare pesi per tutta la vita. Perchè sono spesso le nostre debolezze e le nostre paure a impedirci di stare bene e andare per la nostra strada. Il punto di arrivo è rendersi conto di essere già sulla propria strada, partire.
– Qual è il brano che ti rappresenta di più, che ti coinvolge di più a livello emotivo?
Sono molto affezionato a “Orecchie da Elefante” e “Noi Corriamo”, sia per motivi di composizione musicale che di liriche…Quando le ascolto mi emoziono e provo un brivido lungo la schiena, e credo sia proprio questo che la musica debba fare. Farti venire la pelle d’oca e far vibrare le corde nascoste nel più profondo della nostra anima.
– Vuoi aggiungere qualcosa alla nostra chiacchierata?
Mi piace pensare a un ragazzo che tornato da scuola ascolti il mio disco a tutto volume in cuffia, si emozioni, si appassioni alla musica e alla vita e prenda una chitarra in mano. Questo per me significherebbe tutto, ed è quello che la musica ultimamente non riesce più a fare.
Egle Taccia
Ascolta “Orecchie da elefante” di Cappadonia su Spotify:
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