Musica
Nicola Piovani incanta al Bellini di Catania
Al Bellini di Catania si è esibito il maestro che ha vinto l’oscar nel 1999 con la colonna sonora del film «La vita è bella» di Roberto Benigni. Nicola Piovani (foto) che è nato a Roma nel 1946 dove ha sempre vissuto e lavorato, ha prodotto tante musiche di indelebile bellezza definite «quadri sonori di elevata sensibilità».
Conoscere un’opera pittorica, poetica o musicale vuol dire conoscere i sentimenti di colui che l’ha creata; seguire un percorso lungo e segnato dalla cultura musicale, da anni di dedizione allo studio, professionalità e tanta passione.
Questa ricerca dell’autore spinge la curiosità verso quella dimensione che soltanto pochi riescono a creare e forse altrettanti pochi a comprendere. Le emozioni superficiali appartengono alla massa ma quelle profonde che solo artisti come Nicola Piovani riescono a suscitare appartengono al pubblico d’elite.
Compositore di musica per il cinema e il teatro, di canzoni, di musica da camera e sinfonica il nostro autore dalla sua prima opera, composta per un lungometraggio, «N.P. il segreto» di Silvano Agosti giunge all’incontro con Roberto Benigni con il quale ha lavorato creando appunto la colonna sonora della Vita è bella.
Ma lui ha collaborato con i grandi registi del cinema italiano e no; Fellini in testa, Bellocchio, Monicelli, Taviani, Moretti e Tornatore ed infine Benigni. Fuori d’Italia ha lavorato, tra gli altri, con i registi Ben Von Verbong, Pál Gábor, Bigas Luna, John Irvin, Sergej Bodrov, Philippe Lioret, Danièle Thompson, Xavier Durringer.
La sua musica offre la chiave di lettura per entrare «nelle aree del sensibile e della realtà, o della irrealtà o della sensibilità più intima… che sono peculiarmente inaccessibili alla parola». La musica e la pittura, diceva Stanley Kubrick, sono le uniche «forme d’espressione non-verbali che ci riescono». Per spiegare l’evolversi di un sentimento che prende le forme più particolari, articolate ora attraverso un motivo principale che dà corpo a diverse voci strumentali, dialoganti fra loro, o singolarmente parlanti, si favorisce il connubio tra classicità musicale e contemporaneità.
Un po’ alla Solbiati ed un po’ alla Piovani, tutta è una composizione che vuole parlare e raccontare nella sua contemporaneità come se al tempo stesso gli spettatori guardassero quel film che diventa l’icona visiva del brano musicale. «La stanza del figlio, Caro Diario, La notte di San Lorenzo, La vita è bella, Ginger & Fred» sono le rievocazioni espressive che attraverso la musica del maestro prendono corpo.
Navigano malinconicamente nella mente di chi ascolta, ricreando la tristezza del padre che dopo la perdita del figlio riscopre quest’ultimo nei ricordi statici del presente silenzioso di una stanza, o alla tragedia umana, l’olocausto ebraico, che solo un grande come Benigni poteva rappresentare mescolando il sorriso alla lacrima. E in «La vita è bella» l’artista «cerca un tema con note vicine, evitando salti tonali»… sul consiglio del suo vecchio insegnante di composizione conservatore.
Nicola Savoca definisce «incantata poesia» le musiche di Piovani, che in «Ginger & Fred, Intervista o La voce della luna», diventano «un piccolo fascino scoperto che riesce a generare le note musicali». Nicola Piovani non ama la «musica da tavola» e non pensa che il genere classico, al contrario di quanto sostiene il pianista jazz Keith Jarret, stia morendo, e dice che «A volte una musica può sopravvivere alla sequenza per la quale è nata». E la sua melodia riesce persino a distaccarsi dalla classicità per diventare ritmo silenzioso, linguaggio parlato e narrativo ora marcia tamburellata.
«Qualche volta– dice Piovani- un buon lavoro per un film può risultare insignificante eseguito in un concerto. E qualche volta una musica bella di per sé risulta inutile, o nociva in un film». Ma una musica non può mai tramontare se supportata da carica emotiva e sentimentale e quando «riesce a servire immagini per la quale è stata commissionata».
Quale carica emotiva trasmette la musica di Nicola Piovani?
Sentimento, nostalgia, appagamento sonoro che prende corpo attraverso una voglia continua di marcare, scolpire nel cuore e nella mente di chi ascolta e percepisce la sua musica. La quale riesce a «mettere un po’ di vento per far volare delle sequenze che hanno i piedi di piombo», ora punto fermo di nuova creazione musicale, immutabile e duratura.