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L'intervista: Alfio Antico

Redazione Urban

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Alfio Antico, ha di recente pubblicato un nuovo album, “Antico”, in cui porta i suoi tamburi verso nuovi orizzonti. La musica popolare viene riportata alle sue tradizioni arcaiche e arricchita di nuove strumentazioni elettroniche, grazie anche alla produzione artistica di Colapesce. E’ un disco che non ti aspetti ed un suo live è pieno di suoni industrial ed ipnotici, che però non dimenticano la storia e la tradizione del Maestro.
L’ho incontrato per approfondire tutte le novità di questo album.
Sei famoso nel mondo per l’arte e la maestria con cui suoni la tammorra. Come è nata la tua passione per le percussioni e per questo strumento in particolare?
Ci tengo a precisare la mia preferenza per il termine “Tamburo”, io l’ho sempre chiamato così. Lo suonava mia nonna materna, attraverso questo strumento mi raccontava le favole, ne rimasi folgorato. Ho iniziato a costruirlo da ragazzo, perché mi faceva compagnia e scacciava le mie paure di notte, mentre facevo la transumanza con le pecore.

 Hai suonato ovunque, quindi avrai anche avuto modo di farti un’idea dall’esterno di come è percepita la musica popolare italiana. Che periodo sta vivendo secondo te?
La musica popolare, purtroppo e per colpa sua, è relegata al folklore da cartolina, si è condannata ad essere appesa su un muro come soprammobile. Invece è una musica potentissima, che evoca ricordi e cerca di non farli dimenticare. Non bisogna però rischiare di relegarla al passato, la Musica Popolare deve essere moderna, anzi futuro. È l’unico modo che ha per vivere. Deve mescolarsi con tutti gli altri generi, essere amplia.
 “Antico” è un titolo che richiama il tuo cognome, ma che forse rappresenta anche la voglia di andare a scavare nelle radici più pure della musica popolare, scrollandosi di dosso i retaggi e le etichette che le sono stati di recente cuciti addosso. Cosa ti ha spinto verso questa scelta?
Esattamente, rievoca qualcosa di arcaico, ma non vuol dire passato. Insomma non resta ferma in un’epoca ormai andata, sono ricordi che vivono nel presente e ci accompagnano nel futuro. Mario e Lorenzo hanno voluto scrollarmi di dosso i vestiti barocchi e tradizionali che avevo e questo ha fatto sì che le mie canzoni fossero ancora più forti e pure.
Come è nata la tua collaborazione con Colapesce?
Conosco il padre di Lorenzo da parecchi anni, siamo amici molto stretti, una famiglia insomma. Quindi Lorenzo lo conosco da quando era ragazzo, è stato un po’ come lavorare in famiglia. Io ho chiesto a lui di creare un progetto insieme e lui ha coinvolto Mario. È nato qualcosa di meraviglioso!
 Avete dato un importantissimo valore all’improvvisazione durante le registrazioni dell’album. Che tipo di sfumature siete riusciti a cogliere grazie a questo modo di lavorare? Su cosa avete concentrato la vostra attenzione?
Abbiamo registrato molto all’aperto e abbiamo tolto tutto quello che poteva nascondere la potenza arcaica di queste canzoni. Abbiamo rispettato la natura, che suonava insieme a noi. Queste sono state le sfumature che abbiamo colto.
 Anche il luogo che avete scelto per le registrazioni sicuramente ha avuto un ruolo importante per la riuscita del disco. Vuoi raccontarci com’è nata la scelta di uno studio mobile?
È un luogo importante per me, ci andavo spesso per concentrarmi e avevamo bisogno della natura di cui parlo. Insomma i testi delle canzoni erano con noi sotto forma di foglie, di animali, di verdure e di vento.
 La natura e gli animali hanno quindi un ruolo fondamentale nell’album?
Hanno suonato anche loro.
 Puoi raccontarci un aneddoto relativo alle registrazioni?
Una cosa molto bella è successa durante la registrazione di Pirchì: a pochi metri dallo studio mobile c’era un asino che sul finale ha cominciato a ragliare, ovviamente l’abbiamo tenuto in fase di mix.
Intervista a cura di Egle Taccia
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