Musica
Il grande ritorno dei Radiohead: nel 2017 il trentennale di "Ok computer" e l'uscita del nuovo album "I Promise"
Pochi indizi vi basteranno: una band che non ha solo numeri, ma anche e soprattutto un solido riscontro di pubblico sempre costante. Un successo ascendente e sperimentazioni sorprendenti.
Scommettiamo che avete già indovinato: stiamo parlando dei Radiohead, che dal profondo Oxfordshire hanno fatto vibrare un fischio d’inizio che sembra non aver ancora esaurito la sua potenza e la sua energia.
Una carriera, quella di Thom Yorke, Jonny e Colin Greenwood, Ed O’ Brien e Philip Selway, che inizia un percorso ventennale di puro alternative rock con un singolo che all’inizio ansima un po’, ma di cui chiunque di voi ha memoria: parliamo di “Creep”, estratto dal primo album “Pablo Honey”, registrato in sole tre settimane a Oxford nel 1992, che, in prima battuta, non raccoglie il favore di critica e di pubblico sperato; ma ecco che dopo appena qualche mese, si realizza quella che potremmo paragonare a una curiosa metafora della vita: “Creep”, il brutto anatroccolo cui nessuno badava, esplode e diventa un successo planetario: come si suol dire, chi la dura la vince.
È un trampolino di lancio a razzo per Thom e il suo team, un’occasione da non perdere. Comincia un’escalation che li vedrà protagonisti, album dopo album, di un favore di pubblico sempre crescente.
Sgomitare in patria e assicurarsi un nome, per i Radiohead, è stato impegnativo. Nel Regno Unito il successo, quello vero, per loro arriva con l’uscita di “The Bends” nel 1995 e l’impegno è notevole: come dichiarerà lo stesso Yorke, i Radiohead puntavano a rendere le canzoni del nuovo disco assolutamente indimenticabili e così è stato. Il boom è memorabile e finalmente anche loro vengono riconosciuti solidamente in terra natìa.
“Ok Computer”, nel 1997, più orientato verso il rock progressivo e l’elettronica, non fa che confermare la fama e la stima acquisita dai Radiohead e si staglia di prepotenza nell’Olimpo dei più influenti album della storia del rock, acclamato dalla critica e amato dal pubblico, un disco i cui testi sono anche più profondi e curati del solito. Le tematiche principali? Sembra di essere immersi in una lezione di filosofia, tra difficoltà di ritrovare se stessi e la facilità di perdersi e l’eterna lotta contro i propri demoni.
Parallelamente alla luminosa carriera musicale corrono anche numerosi impegni della band a livello politico e sociale come Jubilee 2000, Amnesty International e Tibetan Freedom Concert.
Col nuovo millennio cambia qualcosa anche nel gruppo. Con “Kid A” e “Amnesiac” decidono di darsi alla sperimentazione, cimentandosi in testi meno elaborati, volti all’essenziale. Il cambiamento si fa sentire anche tra i membri, che stremati dall’estenuante tour precedente di “Ok Computer”, vivono una crisi che li porta a un passo dallo scioglimento.
Per fortuna nulla di tutto ciò accade e la band rientra in pista più prepotentemente di prima, ormai ben solida all’interno del panorama musicale mondiale. Grazie a “Kid A”, che lascia completamente allibiti fan e critica, i Radiohead vengono consacrati come una delle band più importanti al mondo e il disco è promosso a pieni voti. Nonostante l’acclamazione però, come ogni frutto di un mutamento che si rispetti, “Kid A” divide i fan in due fazioni: quelli più conservatori e tradizionalisti, nostalgici dei vecchi pezzi, e quelli più ben disposti verso l’innovazione dei loro beniamini. Passaggio obbligato.
Più in generale, “Amnesiac” insiste sull’elettronica mentre “Kid A” corteggia sonorità più jazz e motivetti più orecchiabili cui è molto più semplice affezionarsi. C’è addirittura chi lo definisce il miglior album del gruppo.
Pausa fisiologica per gli instancabili Radiohead, che tornano a calcare le scene solo nel 2003 con ”Hail to the thief”, che subito debutta in prima posizione nelle classifiche inglesi e viene premiato come “Miglior album alternative” con un Grammy nel 2004.
Anche “In Rainbows” nel 2007 si guadagna il gradino più alto del podio in Inghilterra, una tradizione che ormai tarda a smentirsi e i riscontri arrivano presto: si guadagnano un altro Grammy Award come miglior album alternative dell’anno e il gruppo Radiohead riceve la terza nomination per il miglior album dell’anno.
Nel 2009 lavorano alla nuova fatica discografica preceduta dall’uscita di due brani inediti, “Harry Patch (In Memory of)” e “These Are my Twisted Words”.
“The King of Limbs” esce invece il 14 febbraio del 2011 e anche qui si aggiudicano una candidatura a Miglior album alternative.
Il 2017 è un anno cruciale per i Radiohead: ricorre infatti il ventennale dell’uscita di “Ok Computer”, l’album che li consacrò a livello mondiale. Per l’occasione, la band ha deciso di fare le cose in grande: una rimasterizzazione del disco che si intitolerà “OKNOTOK”. Abbiamo già avuto modo di ascoltare il primo degli undici pezzi – tra inediti e b-side – che animano l’album, dal titolo “I Promise”, una struggente chitarra acustica accompagnata da un video carico di feels e sorprendente fino al colpo di scena finale.
Questo l’ulteriore step nella carriera dei Radiohead sembra essere solo l’ennesimo, brillante capitolo di una storia davvero infinita.
Li vogliamo mica fermare?
Elvira Fratto
http://credit-n.ru/zaymyi-next.html