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Best new: The Half of Mary

Redazione Urban

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Alla base di Ruins, il primo album dei The Half of Mary, c’è l’idea che ognuno di noi abbia delle piccole rovine personali che è incapace di cambiare ma che, aggiungiamo noi, vanno comprese ed accettate per poterle migliorare.
Dal 6 Novembre Ruins, che segue l’EP Strange Behavior (2010, autoprodotto come l’album), vedrà finalmente la luce; proprio in occasione dell’uscita dell’album abbiamo intervistato il gruppo per curiosare un po’ tra le rovine, i cambiamenti e le definizioni che proprio non ci piacciono.
Nel teaser che annuncia l’uscita di Ruins, il vostro nuovo album, ci sono delle immagini di una ragazza che lancia dei sassi: possiamo immaginare i sassi come le “rovine” che non riusciamo a cambiare ma che vorremmo lanciare lontano?
Abbiamo scelto per la copertina una location, insieme al fotografo Lorenzo Borri, che potesse rendere l’idea delle “rovine”, trovata nello splendido posto delle Crete Senesi. L’idea era proprio quella di dare un senso poetico alle rovine, Ruins appunto. L’altra metà di Mary (in foto Cinzia Bianchini) lancia alcuni sassi di fango, ma più che voler cambiare o allontanare da noi stessi queste “rovine”, esse rappresentano un’arma, un vissuto dal quale non necessariamente separarsi, piuttosto elementi dai quali celebrare l’inizio di una nuova era. Segnano il cambiamento costante dell’Uomo, la trasformazione con la quale si raggiunge l’esperienza di una vita attraverso sofferenza, errori e fallimenti.

In che modo si è evoluto il vostro percorso musicale: quali sono gli incontri, gli ascolti che hanno segnato la vostra crescita e che hanno caratterizzato la nascita di Ruins?
Fin dal primo momento si era concretizzata nel nostro incontro la necessità di tirare fuori musica che fosse un diretto canale con le nostre emozioni, con quello che volevamo comunicare, senza grosse influenze estetiche. Il mondo onirico è stato (e per molti aspetti continua ad esserlo) una grossa fonte di ispirazione. Ognuno di noi proviene da molteplici ascolti di diversi generi musicali (Jazz, Pop, Rock, Classica, Funk, Indie, Elettronica, Folk) e sicuramente è un bagaglio unico che riportiamo in ogni angolo delle nostre canzoni. Spesso ci siamo chiesti se siamo troppo eterogenei nello stile, sicuramente difficilmente catalogabili in un genere solo, ma siamo anche contenti di questo perché ogni canzone vive di un meritato spazio suo, senza dover passare dal vaglio uniformante del genere. Per Ruins abbiamo cercato di rendere omogeneo il suono solo in fase di produzione e non di arrangiamento
Qual è un aspetto che ognuno dei THOM vorrebbe cambiare ma che proprio non riesce a fare? 
Ci piacerebbe avere una folta criniera ma in questo non riusciamo proprio a fare nulla… A parte gli scherzi probabilmente un vizio che ci accomuna è la lentezza, anche se per molti aspetti è stata importante per far sedimentare e sviluppare nuove idee.
Chi o che cosa compone una e l’altra metà di Mary?
Durante la ricerca di un nome per la band volevamo cercare qualcosa che esprimesse il senso dell’ibrido. I testi sono densi di senso di vacillamento, di incertezza e di ambiguità. Una creatura che fosse al contempo uomo e donna rappresentava pienamente questo concetto. The Half Of Mary introduce alla metà femminile (Mary) mentre l’acronimo “Thom” racchiude il maschile
Nella vostra pagina facebook, alla voce “genere” leggiamo: art rock. Ci spiegate meglio questa definizione?
Viviamo tempi in cui tutto ha bisogno di una definizione, una etichetta, un luogo preciso dove essere identificati e identificabili. Per noi l’importante è comunicare nel modo più diretto le nostre emozioni attraverso la scrittura della musica, non quale vestito debba indossare. Comunque dobbiamo accettare di mettersi in gioco proprio per dare voce alle nostre canzoni. La definizione Art Rock ci è sembrata la più pertinente: Rock che va oltre gli schemi, con influenze dal Jazz alla Classica. Però senza nessun preconcetto, senza dover rimanere necessariamente incollati a questa definizione. L’importanza deve averla la musica, la spinta e la direzione che essa prende a prescindere dai rigori del genere.
La dimensione del live fa emergere tutta la qualità della vostra musica, qual è il brano che secondo voi suona meglio dal vivo?
Abbiamo “testato” dal vivo i pezzi del disco, sono loro la nostra nuova linfa; anche se siamo molto legati anche ai brani più vecchi. Abbiamo provato moltissimo in studio i brani del disco (nelle sale della Mosaico di Colle Val d’Elsa) e siamo piuttosto soddisfatti dei risultati che stiamo ottenendo. Ruins è un disco che ci è possibile riprodurre fedelmente dal vivo, salvo un paio di pezzi che risentono di un adattamento perché negli originali sono presenti ospiti un coro gospel, la voce di Giulia Galliani e il violoncellista Andrea Beninati, il resto è esattamente suonato come nel disco e per noi suonano tutti bene! A questa domanda quindi dovremmo rispondere se c’è un brano che preferiamo: no, non c’è.
C’è un brano che, più degli altri, vi ha sorpreso nella resa live o per come viene recepito dal pubblico?
Durante gli anni abbiamo cambiato spesso scaletta, anche in base ai nuovi pezzi che si facevano spazio mentre quelli vecchi assumevano nuove forme e nuovi arrangiamenti, un modo per consolidare il nostro suono e smussare angoli. Spesso dopo un concerto ci siamo sorpresi di come abbiamo suonato un insospettabile brano in scaletta, della sua fluidità. Alcune canzoni hanno resistito anche a discapito della nostra pazienza e dei nuovi suoni e forse uno fra tutti “Strange Behaviour”, spesso tra i nostri bis, che continua a ottenere consensi.
Giorgia Molinari

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