Musica
Best New: Malarditi
Hanno esordito recentemente con l’album Un po’ più in là pubblicato con l’etichetta catanese Dcave Records e prodotto da Daniele Grasso: stiamo parlando dei palermitani Malarditi, una band/collettivo la cui penna principale è quella di Vincenzo Calabria (acustica e voce), supportata da Salvino Cusenza (voce), Giorgio Bovì (batteria), Daniele Cusenza (chitarra), Antonio Collerà (lap-steel) e Francesco Vitrano (basso). Pronti a conoscerli meglio? Che l’intervista abbia inizio!
Mi ha colpito molto quello che avete dichiarato in prossimità dell’uscita del vostro primo disco: “Un artista non può far altro che narrare i tempi che vive. Un artista siciliano sente questa necessità quasi come unica possibilità per uscire dall’insularità fisica e d’animo in cui vive”. In che modo la musica soddisfa questo bisogno impellente?
La musica ha molti poteri, uno dei quali è quello di annullare le distanze, di recidere completamente ogni legame con la realtà, con lo spazio e con il tempo. È chiaro quindi come, anche attraverso l’arte, ci risulta più facile placare quell’insularità a cui facevamo riferimento. Insularità che non è solo spirituale ma anche concreta e fisica.
A Catania avete trovato la vostra “dimora” musicale, il luogo dove registrare e realizzare il vostro progetto. Che differenze scorgete tra la scena musicale palermitana e quella catanese?
Probabilmente le due scene stanno vivendo momenti diversi. Ultimamente, di sicuro, a Palermo accadono molte cose. Ci sono molti musicisti che stanno facendo bene e progetti interessanti che cominciano ad affermarsi a livello nazionale. Catania, dalla scena sicuramente più consolidata (basti pensare ad artisti come gli Uzeda o Battiato, agli studi e ai produttori), aveva per qualche tempo dato l’impressione di essersi adagiata un po’ troppo su un passato che l’aveva resa una delle città più importanti della scena musicale italiana degli anni ‘90. Di recente le cose hanno ricominciato a muoversi nella città etnea (vedi ad esempio i due Tenco di Cesare Basile) e, aldilà della “vecchia guardia” sempre presente e sempre attiva, si avverte di nuovo il fermento a cui questa città, in fondo, è sempre stata abituata. La musica, comunque, non è il calcio dalle rivalità stupide e violente. Oggi noi siamo a Catania, come altri artisti palermitani, mentre qualche artista catanese proprio in questo momento sta andando a Palermo. Siamo convinti che sia l’isola a dover crescere insieme.
A quando risale il vostro primo incontro? E cos’è che spinge sei “carusi” a mettere su una band?
Il nostro percorso insieme inizia alla fine del 2012. Sei inquieti ragazzi provenienti dalla provincia palermitana decidono di registrare una manciata di brani, racchiuderli in un demo e iniziare a girare con quello su e giù per la loro Sicilia, spinti probabilmente dall’insofferenza e dall’urgenza di raccontare e di raccontarsi. Diciamo che il tutto si può sintetizzare così.
Il disco è stato registrato quasi tutto live, e, su consiglio del vostro produttore Daniele Grasso, avete cercato di evitare accordi, note, effetti speciali, scegliendo l’immediatezza anziché l’artificio. Avete centrato l’obiettivo?
Beh, pensiamo proprio di averlo centrato, o, quanto meno, di esserci avvicinati il più possibile al risultato che volevamo. Quando è iniziato il nostro rapporto con Daniele, la sua idea di fare un disco essenziale e senza fronzoli ci ha stimolato parecchio, molti brani hanno trovato nell’istintività e nella naturalezza dell’interpretazione la loro dimensione ideale e a fine lavorazione eravamo più che entusiasti di quello che avevamo prodotto.
I vostri sono testi riflessivi, intimisti e introspettivi. Quali sono le tematiche che più di tutte vi stanno a cuore e quale genere musicale si adatta meglio per raccontarle?
Noi cantiamo ciò che vediamo. Esponiamo semplicemente il nostro punto di vista sulla realtà che ci circonda, né più né meno. Il pop, il punk e un certo folk di stampo americano, ci hanno sempre influenzato tanto e insieme si sono dimostrati un ottimo veicolo per raccontare le nostre storie.
Un po’ più in là, oltre ad essere il titolo dell’album è anche uno dei brani presenti in questa vostra prima fatica: a cosa vi riferite esattamente? Un po’ più in là da cosa o da chi?
Il pezzo che dà il titolo all’album è un brano che parla di indifferenza. Farsi un po’ più in là è inteso come scostarsi dalla realtà, spostarsi giusto il tanto che basta per evitare di vedere e di dover analizzare gli eventi per comprendere la natura di ciò che di rilevante accade intorno a noi ogni giorno.
Andrete in giro per l’Italia a far conoscere le vostre canzoni?
Certo. Ci stiamo mettendo a lavoro proprio per cominciare a girare un po’ la penisola sperando di cominciare prima possibile. La dimensione live è quella in cui siamo più a nostro agio e questo disco intendiamo suonarlo il più possibile nei mesi che verranno.
Laura De Angelis
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