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Best New: Klune
UrbanWeek ha incontrato i Klune, trio padovano composto da Alberto Pagnin (producer e synths, ex Bodwan), Giulio Abatangelo (chitarra ed effetti) e Giovanni Solimeno, al loro debutto con un EP omonimo. Non perdetevi questa intervista se volete conoscere meglio un gruppo che, siamo sicuri, farà parlare (bene) di sé!
Dopo la pubblicazione del singolo Hope, arriva finalmente il debutto: raccontateci i momenti più significativi legati alla realizzazione del vostro EP
Sicuramente ci sono state molte soddisfazioni durante il percorso di realizzazione di questo EP. Quando avevamo concluso Hope, pur avendo finito già altri lavori, abbiamo pensato di pubblicarlo singolarmente e la risposta di ascolti è stata davvero inaspettata, e questa è stata una bella spinta per continuare a scrivere e sperimentare. In seguito abbiamo deciso di pubblicare un lavoro per volta in modo che l’ascolto non potesse essere troppo dispersivo. Quando si pubblica un EP di 4 o 5 brani c’è spesso il rischio che si prema play, si ascolti ogni brano in velocità e poi non rimanga nulla, specialmente ora che la musica in streaming è un fiume in piena ed escono pubblicazioni indipendenti di continuo. Un altro momento importante è stato la collaborazione con Emay in Cinnamon che, per chi non lo conoscesse, è il rapper che ha collaborato con gli M+A nel disco These Days. Abbiamo ascoltato per mesi quel brano immaginandolo con la sua voce sopra, per cui gli abbiamo scritto dal nulla e fatto sentire il brano e la sua risposta è stata davvero entusiasta. Poco a poco abbiamo visto che si stava muovendo qualcosa, sia per la curiosità delle persone che ci seguivano, sia per l’attenzione da parte di alcuni magazine e di alcuni festival a cui abbiamo sempre partecipato nel ruolo di ascoltatori più che di musicisti. Recentemente siamo stati selezionati per un concorso organizzato dalla Converse e da Noisey e abbiamo potuto registrare alle Officine Meccaniche di Milano con un tecnico d’eccezione, ovvero Hector Castillo (Philip Glass, Bjork, David Bowie, Roger Waters, Lou Reed). Infine, abbiamo avuto il piacere di distribuire l’EP con Foolica, l’uscita è prevista per il 20 novembre e, trattandosi di un disco autoprodotto, è una bella soddisfazione per noi!
Siete molto giovani, eppure il vostro modo di approcciarvi alla musica non sembra affatto “immaturo”. Quando nascono i Klune?
Il nostro approccio deriva sicuramente da un’unione di modi di lavorare diversi e da una passione per la musica che non si è mai spenta, anzi. Suoniamo tutti e tre da molto tempo e abbiamo ascoltato davvero di tutto. Questo progetto voleva essere una sintesi del nostro modo di fare musica, ci siamo presi una sorta di pausa dalle sperimentazioni, per così dire, “solo da musicisti e poco da non addetti”, per quanto continuiamo a suonare le nostre cose al di fuori del gruppo. Il gruppo è nato circa un anno e mezzo fa in un piccolo studio di una zona industriale poco fuori Padova. Non avevamo mai lavorato tutti e tre allo stesso progetto, tuttavia ci si conosceva di persona da anni. L’intento non era fare qualcosa di assolutamente nuovo, ma semplicemente qualcosa di diverso da quello che tutti e tre facciamo singolarmente.
Provenite da background musicali differenti, qual è il collante che vi unisce?
Dal punto di vista stilistico il collante tra i nostri background è sicuramente il sound elettronico. Tuttavia c’è qualcosa che va oltre l’aspetto sonoro e che riguarda la visione del brano nella sua “architettura”, se si può usare questo termine. Oltre la cura del suono, ci sono delle cose che ricerchiamo sempre nei nostri lavori: deve esserci il senso di spazio, deve esserci una dinamica con momenti più forti e momenti di respiro e la struttura deve essere sempre chiara e lineare.
Di cosa parlano i vostri brani e come nascono? Ognuno di voi si occupa di un aspetto in particolare, oppure è l’ispirazione del momento a trascinarvi?
Partendo dal presupposto che viviamo la musica come uno stacco dal quotidiano, i nostri testi sono solitamente riflessioni che derivano proprio dalle nostre routine, oppure dei semplici sogni, dei momenti immaginari che scriviamo per estraniarci per qualche minuto ed essere trasportati nel nostro mondo. Tuttavia non siamo né dei cantautori, né dei poeti. Le melodie che scriviamo, unite alle suggestioni strumentali, devono sempre crearci delle immagini che sono a volte malinconiche e notturne, a volte ricche di colori. “Woman”, per esempio, parla di un dialogo con una donna da cui si è attratti, dei pensieri intimi su di lei e del risultato di una relazione difficile. “Saturdays” racconta della noia d’estate in una grande città e di quel desiderio che con la notte arrivi qualcosa; “Hope”, invece, rappresenta quello stato emotivo che si ha quando si perde un’occasione, quando si rimane incerti sul futuro, ma non si resta in balìa degli eventi. Per quanto riguarda invece la composizione dei brani, non abbiamo mai un ruolo troppo definito singolarmente, anche perché tutti e tre utilizziamo più strumenti, per cui l’idea di una ritmica, di una clap o un kick, di una linea di basso o di un synth può provenire da ognuno di noi. Spesso aggiungiamo idee che ci vengono in testa riascoltando i nostri lavori fino a quando non ci sembra che arrivino a maturazione. Non c’è nessun brano che sia nato sempre dalla stessa persona o in cui uno di noi si sia occupato solo di una parte.
La musica non andrebbe “ingabbiata” dentro asettiche etichette, lo so, ma come definireste le vostre sonorità?
Questa è una bella domanda! Non amiamo molto catalogare la musica in generi, o peggio ancora, in sottogeneri, tuttavia, molto spesso, risulta più comodo e veloce essere collocati da qualche parte. Detto ciò, abbiamo pensato che il termine pop elettronico fosse abbastanza sensato per questo progetto. Il sound elettronico è sempre presente, ma la struttura dei brani si avvicina abbastanza alla forma della canzone e le melodie cantate che ricerchiamo non puntano di certo alla dissonanza, ma alla facilità d’ascolto e proprio per questo si potrebbe parlare di musica pop.
Cosa pensate del panorama indipendente italiano? Il vostro esordio come si pone in questa prospettiva?
Se si parla di panorama indipendente, crediamo che ci siano davvero molti gruppi e in particolare producers che tengono tranquillamente testa al panorama straniero; il problema relativo alla visibilità di questi gruppi è, purtroppo, un altro discorso. La scena elettronica ha avuto sicuramente un bello sviluppo negli ultimi anni, per quanto non sia una grande novità che ci sia in Italia, ma vuoi per moda, vuoi per altri motivi, ora c’è stato un vero e proprio boom anche grazie ad alcuni festival. Siamo molto curiosi di vedere come procederà questa avventura all’interno di questo panorama, ma non ci siamo configurati qualcosa di preciso, diciamo che per il momento siamo concentrati sull’aspetto creativo e sul fare la nostra musica. Per quanto riguarda il panorama non indipendente italiano forse è meglio non esprimersi.
Pronti per andare in tour?
Sul fronte concerti stiamo lavorando sia a nuovi brani che ad un nuovo setup, abbiamo già fatto qualche concerto in alcuni festival ed è stato possibile sperimentare anche al di fuori dello studio, tuttavia, per i nuovi live, si parlerà del 2016 e siamo impazienti di vedere cosa succederà!
Laura De Angelis
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