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Best New: Milo Scaglioni
Lo scorso 13 maggio mi sono ritrovata per caso all’Ohibò di Milano per il concerto di Milo Scaglioni, accompagnato da Roberto Dell’Era, Gianluca De Rubertis e Lino Gitto. Ho così scoperto un artista italiano con la passione per la musica britannica. Il suo live è stato un vero e proprio viaggio in Inghilterra, nella storia di un certo tipo di rock di matrice brit.
Qualche giorno dopo quel concerto, l’ho contattato per conoscere di più sul suo nuovo album e sulla sua storia. Ne è venuta fuori questa bella intervista.
“A simple present” in uscita a Settembre 2016 su Akoustik Anarkhy (UK, CD) e Crytmo (Italia,LP) è il tuo album solista, nato dopo una bella gavetta in giro tra l’Italia e l’Inghilterra. Ci racconti la tua storia?
Sono nato a Codogno, a sud di Milano e sono cresciuto ascoltando la collezione di dischi di mio fratello, principalmente roba inglese e americana degli anni 60/70. Un sacco di bella roba prog, psich e rock. Il mio primo strumento è stato il basso, era di mio fratello anche quello…Appena ho potuto, dopo le superiori, sono partito per l’Inghilterra, mi sono trasferito a Manchester per frequentare l’università, e alla ricerca di esperienze, influenze e musicisti con cui suonare. A Manchester c’è da sempre un gran fermento musicale, una fantastica tradizione musicale da cui attingere, che si è sempre rinnovata a partire dagli anni 60, basti pensare a band come gli Hollies, Buzzcocks, Joy Division, Smiths, Stone Roses, Happy Mondays, Oasis, Chemical Brothers…un bel posto, malgrado la pioggia e la sua fama di città grigia. Sono rimasto a Manchester per 10 anni, suonando in parecchi progetti, tra cui Jim Noir, con cui siamo stati in giro per un anno, suonando anche al South by South West, facendo tutti i festival principali in the UK, andando in televisione in Francia… con e the Beep Seals. Verso la fine di quei 10 anni, quando meditavo di tornare in Italia, stanco e forse un po’ disilluso, mi fu chiesto di unirmi ai Jennifer Gentle, con cui avevo fatto amicizia, e così tornai in Italia. A Milano ho reincontrato Roberto Dell’Era. Fatto catartico, perché grazie a quell’incontro sono cambiate molte cose. Ci eravamo conosciuti ad un concerto a Glasgow, dove suonarono la stessa sera, al Barfly, Afterhours e i Beep Seals. Quando è uscito il primo disco di Dellera ho incominciato a suonare il basso nella sua band, un’avventura che ha portato tante amicizie. Avevo già delle canzoni, ma ho avuto bisogno di un sacco di tempo per assemblare un disco. L’anno scorso sono entrato in studio, finalmente pronto a registrare. Ho incominciato al Sudest studio di Guagnano, in Puglia. Ed ho finito, con l’aiuto di Roberto, Lino Gitto, Enrico Gabrielli, Gianluca De Rubertis e Simone Prudenzano, all’Edac studio di Davide Lasala, che ha registrato e mixato il tutto. Quest’anno sono stato anche in tour in Europa, al basso, con i Sonic Jesus, che all’estero hanno davvero un pubblico fedele e crescente. Ora che il disco è fatto stiamo, con la mia etichetta Italiana, la Crytmo e con quella inglese, la Akoustik Anarkhy, organizzandone l’uscita, curando il live. Mi concentrerò principalmente su questo, e continuerò a collaborare con Dellera.
La traduzione del titolo può avere molteplici interpretazioni. Qual è quella più corretta? Cosa intendi con “A simple present”?
A simple present significa un semplice regalo, un presente semplice (quello che mi auguro di vivere) ed è anche un tempo grammaticale Inglese, che si usa per parlare delle nostre abitudini e di ciò che riteniamo vero.
Quali saranno le sonorità dell’album?
E’ un disco pieno di colori, ci sono tinte folk e psichedeliche, molto pop, perfino del country. E’ registrato su nastro. Modernamente vintage, fruscii a parte.
Osservandoti sul palco sembra che tu abbia attinto più dalle radici britanniche che dalla musica italiana. Qual è la marcia in più della musica brit, secondo te?
Sono cresciuto ascoltando roba Inglese o americana, molto più di artisti Italiani. Ci sono moltissimi artisti italiani che adoro, gente come Battisti e Edoardo Bennato per esempio, ma credo sia lecito osservare come l’America e l’Inghilterra abbiano avuto un profondo effetto, musicalmente, anche su di loro. Ho vissuto in Inghilterra, in una città ricca di storia musicale moderna, per 10 anni. Credo che l’influenza sulla mia musica sia inevitabile.
Hai una super band che ti supporta. Ci parli di loro e di ciò che ognuno di questi artisti ha portato all’interno del tuo album?
Ho la fortuna di avere amici bravissimi che credono nella mia musica, e che possono con la loro bravura fare la differenza sia in studio che dal vivo. E così è stato, sono stati fondamentali. La loro energia ed idee si percepiscono sia sul disco che sul palco. Per fortuna avevo le idee chiare, e il risultato finale è veramente il disco che avevo in mente. Dell’era ha registrato 5 tracce killer di basso , Enrico Gabrielli ha suonato tastiere, flauto, sax ed ha fatto un arrangiamento vocale sulla fine di Taller on That Tree , Lino Gitto ha fatto delle grandi batterie e ha suonato l’organo su Sea of Misery, Gianluca De Rubertis ha suonato il pianoforte su Sea of Misery e un piano elettrico su Stone Cold Sober e Simone Prudenzano delle percussioni su Black Dog n°7. La band che porta in giro il progetto può cambiare a seconda delle occasioni, spesso mi esibisco anche con Lorenzo Corti, che non ha suonato nel disco ma che è stato ben presente nel progetto negli ultimi 2 anni.
Tu che hai suonato tanto in giro per il mondo, come vedi la situazione musicale italiana?
Difficile dire che ne penso, tendo a non pensare alla musica in termini di provenienza geografica, specialmente al giorno d’oggi. Credo che lo stato della musica indipendente sia più meno quello di sempre, anche se con meno pubblico e meno soldi… Trovo ci siano diversi progetti in giro in Italia, al di là della lingua che usano, veramente validi, per esempio Iosonouncane mi piace molto, o The Winstons, Calibro 35, Zeus! E tantissimi altri, insomma, non bisogna lamentarsi, ma ricordarsi del bello che c’è.
Poi c’è l’intrattenimento legato ai colossi della televisione, della radio e dei media mainstream in genere, quello gode in apparenza di grande salute anche se spesso non propone niente di destinato a restare, perché non serve a quello.
Pensi che ci siano dei generi musicali che andrebbero riscoperti?
Penso che in musica tutto venga costantemente riciclato e reinventato, anche a seconda delle mode. Se ci sono generi da riscoprire è solo una questione di tempo, verranno riscoperti, tutto torna…
Quali saranno i tuoi progetti da qui all’uscita dell’album?
Preparare il live, pianificare concerti, un tour in Inghilterra, in attesa di un tour italiano più avanti, fare interviste, scrivere il prossimo disco…
Intervista a cura di Egle Taccia
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