Musica
David Bowie: Da Duca Bianco a Stella Nera
Prendi la tua morte e fanne un capolavoro.
Un lunedì di gennaio ti svegli e lui non c’è più e tu non riesci a fartene una ragione.
Quel presentimento che si è insinuato nella mente con l’annuncio che non ci sarebbe stato mai più un suo concerto, che si è continuato a fare strada nei pensieri nel momento in cui ho visto il video di “Blackstar” ed ho pensato “Sta morendo?”, è quasi diventato certezza guardando quello di “Lazarus”. Tutto era lì, così evidente da non volerlo vedere solo perché io, come tutti, avevamo la convinzione che non potesse accadere a lui, che tutti abbiamo sempre creduto un marziano. E invece in questo lunedì mattina abbiamo dovuto fare i conti con una tremenda realtà: lui se n’è andato, stroncato dal male più feroce degli ultimi decenni, dopo una guerra di 18 mesi.
La seconda realtà che abbiamo avuto tutti davanti agli occhi, nel momento in cui la lucidità ha preso il posto del dolore, è stata il suo testamento, Blackstar, quell’album pubblicato due giorni prima di morire, per celebrare il suo ultimo compleanno. Rendersi conto che, negli ultimi mesi di vita, il suo pensiero sia stato quello di lasciarci qualcosa che ci aiutasse a superare la sua perdita, fa venire le lacrime agli occhi. Un po’ come se fosse venuto da noi a salutarci uno per uno, a regalarci un ricordo indelebile, un insegnamento su come affrontare la morte, da artista, da amante della vita e dell’arte. L’ultimo e definitivo capolavoro!
Ditemi se questa non è arte? Ditemi se questo non è il saluto finale di un genio! Neanche il più grande scrittore del mondo avrebbe pensato un epilogo migliore.
Una vita dedicata alla musica. Cinque decenni in cui ha attraversato i generi, stravolgendoli, trasformandoli ad ogni suo passaggio. Uno però gli appartiene, quel genere che lo vede re indiscusso. Chiamatelo glam rock, chiamatelo art rock, chiamatelo David Bowie, il risultato è lo stesso. Quell’era, quel periodo in cui insieme ai Queen e a tanti altri si sfidavano a colpi di piume e lustrini, è stata la sua era, quella che lo ha identificato nei decenni. Tanto avevano in comune Mercury e Bowie, anche il modo di affrontare la morte. Chi non ricorda quel Padre Nostro recitato sul palco alla commemorazione di Freddie? Adesso me li immagino insieme a studiare uno dei loro travestimenti migliori.
In quell’epoca, gli anni ’70, l’arte viveva un momento magico. La musica si tingeva di pittura, attraversando la recitazione, la moda. Le rockstar si presentavano al pubblico come delle vere e proprie opere, sculture umane, che si sottoponevano ad estenuanti trasformazioni, perché loro stessi, con la propria fisicità dovevano esprimere un messaggio chiaro.
Quella forma d’arte la conosceva bene Bowie, che col suo innato talento di attore è riuscito a cogliere l’essenza del periodo, vivendolo pienamente e portandolo alla sua più alta rappresentazione.
La sua sessualità ambigua lo ha portato ad essere un simbolo per la cultura omosessuale, vera fonte di ispirazione per le sue opere, come ha spesso dichiarato.
Negli anni la sua figura è sempre stata intrisa di questa eredità glam e nonostante le sue varie sperimentazioni nell’ r’n’b, nell’elettronica, nel folk, ha sempre mantenuto quell’immagine teatrale, che ce lo farà ricordare per sempre nella sua veste di Duca Bianco o come Ziggy Stardust, quel ragazzo divenuto rockstar grazie ad un aiuto alieno, l’emblema della rockstar, un cantante rock di plastica, come lo definiva Bowie.
Lui si vedeva come un mortale con le potenzialità di un supereroe e con la sua uscita di scena colossale ce lo ha ricordato, lui che aveva un bisogno ripugnante di essere qualcosa di più che umano.
La sua vera forza, quello che lo ha reso immortale già a poche ore dalla sua scomparsa è stato certamente il suo essere universale, quella caratteristica che ormai ha abbandonato l’arte, sempre più settorializzata, sempre più di nicchia. Lui è riuscito a raggiungere tutti, tutte le categorie, tutte le fasce d’età, gli status, i generi.
Gli amanti della musica, gli amanti della moda, lo idolatravano. Gli altri si limitavano a rispettarlo.
Questo rispetto ce lo ha ricambiato, ci ha lasciati con un tempismo perfetto, con un testamento che racchiude in musica la sua figura. La teatralità di un’uscita di scena impeccabile, il glam di cui si è ricoperto fino all’ultimo, l’ennesima breccia musicale verso nuovi orizzonti sonori.
In vita ha scelto il bianco per identificarsi, ma il bianco è il colore delle stelle, dunque per distinguersi da esse ora si è tinto di nero!
Oggi tutta la musica lo piange. Quella musica che in lui ha visto da sempre un maestro, un punto di riferimento, seguirà quella cometa nera per portarci, dietro le sue orme, verso un nuovo percorso musicale, che sarà purtroppo orfano del suo grande padre.
Riposa in pace David e grazie per la magia che ci hai regalato!
Egle Taccia
https://www.youtube.com/watch?v=y-JqH1M4Ya8
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