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Musica

Intervista: Dardust

Redazione Urban

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Dardust è appena tornato in Italia dallo studio islandese che ha ospitato, tra gli altri, i Sigùr Ros e che ha dato la luce (e l’audio!) al nuovo lavoro discografico dell’artista. Abbiamo parlato di questa nuova creatura, 7, ma anche di deragli adolescenziali, atmosfere magiche e bellezza che non può essere catturata da un iPhone.
 
Hai appena registrato il secondo capitolo di una trilogia, da cosa nasce la volontà di produrre una trilogia discografica?
Ho avuto sempre l’idea che un progetto particolare come Dardust avesse bisogno come start-up di almeno tre dischi per trovare un’identità, farsi conoscere ed affermarsi. 
Diciamo che mi sono dato tanto tempo per farlo emergere sia creativamente che all’esterno. Un po’ come si faceva una volta: i nuovi progetti venivano coltivati nel tempo album dopo album, singolo dopo singolo e live dopo live, senza l’ansia dei numeri in poco tempo. E poi le trilogie mi hanno sempre affascinato… la trilogia berlinese di Bowie, la trilogia dei Cure o ad esempio in altri campi, la trilogia sulle Tre Madri di Dario Argento che parte da Suspiria. Mi piace l’idea del concept non solo in un disco ma anche come collegamento tra vari lavori anche a distanza di anni.
 
Per registrare questo secondo lavoro hai scelto il Sundlaugin Studio, come mai?
L’album islandese doveva catturare l’anima del posto non solo a livello paesaggistico, ambientale e di “mood” in genere, ma anche a livello di “sound”. Il Sundlaugin è pieno di strumenti che sono stati usati non solo dai Sigur Ros ma anche da tanti altri artisti che ho amato negli anni. La magia di certi dischi è li anche se non la vedi e se ti fai suggestionare non può che rimanere impressa nel modo in cui “concepisci” qualcosa, scrivi, suoni e registri.
 
Cosa dobbiamo aspettarci da questo nuovo lavoro?
Magari ci si aspetta un disco lento e rarefatto mentre invece rispetto a “7”, in alcuni episodi, sarà molto più d’impatto soprattutto sul lato elettronico. E’ un lavoro più complesso per alcuni punti di vista e molto più immediato per altri. E’ un Dardust 2.0 più maturo, in cui le linee partite dal primo disco trovano una geometria più chiara e definita. Ma anche questo sarà un punto di arrivo e allo stesso tempo un nuovo punto di partenza che ci porterà verso il terzo disco a Londra.
 
Ti abbiamo ascoltato a Roma al Quirinetta, in un live -che ci è piaciuto moltissimo-che era da vedere, ascoltare e da cui lasciarsi avvolgere. Da cosa ti lasci ispirare per creare le atmosfere delle tue esibizioni?
Mi fa davvero piacere che vi sia piaciuto. L’idea di base è creare questo crescendo sia sul lato emotivo che su quello del sound per lasciare alla fine lo spettatore con l’idea di aver fatto un piccolo viaggio. In genere abbiamo i visuals che accompagnano il racconto musicale sul lato delle immagini.
 
Nei tuoi lavori mischi sapientemente il classicismo delle melodie al piano con l’elettronica; qual è la tua formazione musicale?
Parto dalla formazione classica al conservatorio con lo studio del pianoforte, ma poi ho deragliato durante l’adolescenza quando ho scoperto i Kraftwerk, i Depeche Mode, i Prodigy e i Chemical Brothers. In Dardust credo convivano entrambe queste formazioni.
  
Attraverso la tua pagina Facebook, ci hai regalato foto e video pazzeschi, qual è la cosa più bella che hai visto/fatto/scoperto in Islanda?
Io la conoscevo già perché ero già stato a scriverci i primi brani del nuovo album. Dovrei tornare al primo impatto per risponderti. La cosa impressionante per esempio, viaggiando sulla Hrinvegur (Statale 1) nel Sud dell’Islanda, è stata notare la mutevolezza impressionante dei paesaggi. Dal nero della lava a distese di ghiacciai enormi per passare a cascate e fiordi meravigliosi. Il colpo d’occhio è impressionante e ogni volta che prendi l’iPhone per fotografarlo e portarti il ricordo a casa, maledici tutto perché niente potrà mai catturare quello che vedi. La bellezza è solo per gli occhi e non per l’iPhone.
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