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Musica

L'intervista: Max Manfredi

Redazione Urban

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Abbiamo incontrato Max Manfredi lo scorso novembre,poco tempo dopo l’uscita di Dremong, oggi candidato nella sezione “Miglior Album” al Premio Tenco 2015. Con immenso piacere, torniamo a parlare della sua musica.
Non è la prima volta che una tua opera partecipa al premio più importante che un cantautore italiano possa ricevere; in particolare, nel 2009, ti sei aggiudicato la targa come miglior disco dell’anno con Luna persa. Al di là della soddisfazione, cosa significa per te questa occasione?
Se mi dessero la targa, sarei invitato a cantare al “Tenco”, e l’idea continua a piacermi. Fra l’altro, l’edizione è tutta un omaggio a Francesco Guccini, uno dei primi cantautori italiani che ascoltai con attenzione da ragazzo.
Credi che nel tempo lo spirito originario del Premio Tenco sia stato preservato o, al contrario, abbia subìto gli stessi mutamenti a cui la musica è andata incontro, dal modo in cui viene composta alla sua fruizione?
Nei suoi tempi d’oro il “Tenco” era un avamposto critico dell’industria discografica italiana. Oggi è l’industria discografica che è andata a bagno, più che il “Tenco”. Il sodalizio tra i due, quindi, non è più possibile. Non solo, ma la rassegna era un grande evento giornalistico. Adesso lo è, ma in modo induttivo, nel senso che un’intera schiera di giornalisti attribuisce le targhe e ne parla.
Sei stato candidato anche nella sezione “Miglior Canzone” con il brano “Il negro”: in tempi in cui il razzismo sembra essere diventato la lente principale attraverso cui guardare lo straniero, si tratta, senza dubbio, di un titolo che colpisce subito l’attenzione dell’ascoltatore. In realtà, la canzone non ha nessuna valenza razziale, ma racconta, invece, di come si possa parlare d’amore essendo un altro. Raccontaci meglio questa storia…
Il “negro” è un termine antico, scherzoso, un po’ cinico, con cui si designava il ghostwriter, colui che viene pagato per scrivere col nome di un altro. Si fa ancora, e non solo in ambiente universitario. È una delle attività di un mio amico cantautore, Marco Ongaro, così fra noi si usava questa parola. Del resto “negro” è ottimo italiano e non ha nulla di dispregiativo. Il dispregiativo è nigger, in America e, forse, in Italia, almeno oggi, anche il termine milanese nègher.
Tra i colleghi con cui gareggi, chi è quello che apprezzi e che voteresti se fossi tu a dover giudicare?
Indipendentemente dall’uscita dei dischi, su cui dovrei documentarmi, molti “compagni” (“colleghi” è un termine ironico), cioè gente con cui capita di dividere il pane e il vino, molti “compagni” d’arte e d’arme riscuotono la mia stima. Voglio fare due nomi, perché tutti son troppi: Franco Boggero, “giovane” cantautore genovese, e Federico Sirianni, con cui abbiamo in programma un tour italiano chiamato Nogenovatour.
Dremong è un album autoprodotto con l’aiuto di un crowfunding lanciato attraverso la piattaforma web Musicraiser: ben 201 sostenitori hanno contribuito al finanziamento del tuo disco, superando di gran lunga il budget minimo richiesto. Quali sono le ragioni di questa scelta?
Le ragioni della loro scelta, le ignoro…delle mie, a parte gli scherzi, di certo il tentativo e la tentazione di una autoproduzione pressoché completa. Ci sono vantaggi e pecche. Ma il disco è venuto molto bene, su questo non ci son dubbi
Una curiosità prima di lasciarci: qual è la canzone di Luigi Tenco che preferisci, quella, insomma, che avresti voluto scrivere tu?
Non so se avrei voluto scriverla, ma mi piace ricordarla anche come sigla dello sceneggiato televisivo Il commissario Maigret: “Un giorno dopo l’altro”, bella canzone e sigla indovinatissima e che mi riporta con la memoria a quegli anni in bianco e nero, così , però, più colorati dei nostri.
 
Laura De Angelis
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