Musica
Paul Weller suona (sempre e ancora) bene
Quando prendi un aereo per andare a vedere un concerto devi necessariamente avere una buona ragione per farlo. La mia si chiama Paul Weller, musicista inglese che, nei primi anni Settanta, fu una delle figure centrali del Mod Revival con la band The Jam per poi, negli anni Ottanta, cavalcare l’onda della raffinata New Wave britannica con The Style Council.
Diversi sono i gruppi musicali della scena brit-pop che considerano Paul Weller punto di riferimento e fonte di ispirazione, in particolare Blur ed Oasis, così, a molti, inizialmente, sarà sembrato uno scherzo sapere che nella stessa sera, a Roma, si sarebbero esibiti in contesti diversi sia The Modfather che Noel Gallagher. Io ho optato per il primo, non mi sono sentita particolarmente combattuta nello scegliere tra i due artisti; nulla contro l’ex Oasis, per carità, ma l’emozione di trovarsi di fronte, o quasi, a chi ha fatto la storia della musica quando tu non eri nemmeno nata, ha decisamente avuto la meglio, oppure, forse, perché questa meravigliosa storia della musica va letta a partire dall’inizio, dall’incipit.
E così lo scorso 9 luglio, presso l’Auditorium Parco della Musica, per la rassegna “Luglio suona bene”, l’artista inglese, in una mise semplice ma come sempre molto stilosa, ci ha regalato circa 100 minuti di puro godimento grazie ad una performance in grado di restituire in maniera tangibile gli elementi essenziali della sua estetica : il blues, l’adrenalina del punk, l’eleganza dei 60’s, la raffinatezza del jazz, le visioni della psichedelia.
Il concerto si apre con I’m Where I Should Be, brano incluso in Saturns Pattern ,ultima fatica dell’artista uscita recentemente e da cui è tratta anche la seconda canzone, Long Time. Il pubblico, formato in prevalenza da over 35, inizia a scaldarsi così come la bravissima band che supporta Paul: Steve Cradock alla chitarra, Andy Lewis al basso, Steve Pilgrims alla batteria, Ben Gordelier alle percussioni e Andy Crofts alle tastiere e chitarra.
Sul palco Weller alterna sapientemente chitarre e pianoforte con un’energia e una grinta che, a 57 anni, non ti aspetti possa ancora avere. Into Tomorrow e Above the Clouds ci riportano indietro nel tempo, nel 1992, e dopo Saturns Pattern e Going My Way, presenti nell’ultimo album, ci scateniamo con Friday Street e Porcelain Gods: una buona fetta di pubblico abbandona il proprio posto e corre sotto al palco a cantare, una donna sulla quarantina, addirittura, riesce a saltare su e a baciare e ad abbracciare Paul – lo farà ben due volte!- nell’invidia generale di noi donne e non solo. Lasciata la chitarra, The Modfather si siede al pianoforte: è il momento di You Do Something to Me, splendida canzone d’amore che calma gli animi e avvicina i cuori. Ma la quiete dura poco, Come On /Let’s Go riaccende in noi la voglia di ballare e scatenarci e con Start!, dal repertorio dei Jam, raggiungiamo uno tra i momenti più travolgenti della serata. Paul si diverte, l’empatia con il pubblico è tale per cui può rilassarsi, accendersi una sigaretta e lasciare i riflettori puntati su i suoi bravi musicisti. Dopo Peacock Suit e Whirlpool’s End, arriva il momento dei bis: il primo sulle note di Out of the Sinking, These City Streets e Picking Up Sticks (le ultime due tratte sempre da Saturs Pattern), il secondo, che manda definitivamente in delirio tutto l’Auditorium, infuoca la platea con l’attesa My Ever Changing Moods, dal repertorio degli Style Council, e con il successo targato Jam, Town Called Malice.
Il concerto finisce, Sir Paul ci ringrazia e, insieme alla band, ci saluta. Sono ancora elettrizzata ed emozionata, quando mi accorgo che una schiera di fan cinquantenni, alcuni con una capigliatura quasi identica a quella di Weller, sta litigando per accaparrarsi i plettri che il musicista inglese ha sparso qua e là tra una esibizione a l’altra: me ne vado sorridendo, pensando che la musica è quella cosa straordinaria capace di farti restare giovane per sempre, e quindi eterno.
Laura De Angelis
http://credit-n.ru/zaymyi-next.html