Musica
Roma incontra St. Vincent
Roma 2015, 8 luglio, sono circa le 22.30 quando, sul palco allestito nello splendido scenario di Villa Ada, dopo la bella esibizione di Adriano Viterbini, leader dei Bud Spencer Blues Explosion, St. Vincent appare insieme alla sua band: Matt Johnson alla batteria, Daniel Mintseris alle tastiere e ai synth, Tako Yasuda al basso, tastiera e sintetizzatore. Avvolta da una aderentissima tuta nera bucherellata, che lascia poco spazio all’ immaginazione, e con un trucco da marziana, Annie Erin Clark – vero nome della musicista texana- invade le nostre esistenze conducendoci verso un immaginario iper-futuristisco e avveneristico.
Per iniziare, le note suonate dalla sua Fender Telecaster sono quelle di Birth in Reverse seguita subito dopo da Rattlesnake, brani presenti nel suo ultimo e omonimo album. E via, indietro, a ritroso, con Surgeon, Actors Out of Work, Laughing With a Mouth of Blood e Cloe in the Afternoon. L’atmosfera si scalda, il pubblico pure, St. Vincent, con le sue movenze robotiche, da automa, algida e sensuale e lo sguardo rapito, dà vita ad uno spettacolo minimalista ed eccentrico allo stesso momento: insieme a Tako Yasuda, vestita, tra l’altro, esattamente come lei, gioca creando delle coreografie che, anche a livello fisico, esprimono l’essenza di questo affascinante mondo musicale in cui gli opposti si attraggono e respingono costantemente. Si continua con Sparrow, Marrow e insieme a lei cantiamo Cheerleader , mentre l’ombra di Annie, salita su un palchetto, si riflette, grazie ai giochi di luce, sulla croce che si staglia alle sue spalle. Poi è il momento di Regret e, successivamente, di Cruel, uno dei brani più amati del suo repertorio e con il quale non riusciamo a trattenerci dal ballare. Dopo l’ennesimo cambio di chitarra – ne suonerà cinque “maltrattandole” con sapienza psichedelica quasi come se fossero un prolungamento del suo corpo – St. Vincent ci regala un’interessante versione di Every Tear Disappears arricchita da un breve rimando alla depechiana Personal Jesus. Il tempo di una brevissima pausa e arriva il momento di I Prefer Your Love, ballata struggente dedicata alla madre, e del rock distorto di Your Lips Are Red, tratta dal primo album del 2007: verso la fine dell’esibizione del brano, Annie regala al pubblico che le è vicino l’emozione di poter toccare prima la sua chitarra, e poi lei stessa: montata sulle spalle di un bodyguard, infatti, si avvicina alla gente lasciandosi travolgere dall’ entusiasmo di chi sembra sfiorarla quasi a voler verificare che lei esiste, c’è, e non è solo un riflesso immaginifico della propria mente o un trucco teatrale. Ritornerà sul palco con uno striscione regalatole da un gruppo di ammiratori con su scritto “Merry us” (richiamo al primo album intitolato Merry Me) e che mostrerà a tutti sorridendo sfatando, così, l’idea che alcuni sostengono secondo la quale l’artista americana sarebbe solo un personaggio algido e freddo incapace di trasmettere emozioni durante le sue performances dal vivo.
Bella ed eterea, St. Vincent saluta Roma e si congeda.
E a me sembra di essere tornata improvvisamente da un viaggio sulla Luna.
Laura De Angelis
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