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Musica

"Quando eravamo swing", il nuovo album dei Tre Allegri Ragazzi Morti

Redazione Urban

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Probabilmente li avrete conosciuti intorno ai 15 anni quando “la vostra adolescenza coincideva con la guerra”, come loro cantano, e poi vi avranno accompagnati nel corso della vostra vita. Loro, i Tre Allegri Ragazzi Morti, non la smettono proprio di fare musica esplorando tutti i generi possibili. Il loro primo cambiamento lo ascoltai nel lontano 2010,  quando nei live del loro tour “Primitivi del futuro” era protagonista la sonorità raggae-dub. Adesso l’esplorazione passa per lo swing in compagnia dell’ Abbey Town Jazz Orchestra nel loro ultimo lavoro. Stiamo parlando del disco “Quando eravamo swing”, un tuffo in sonorità passate che reinterpretano i loro maggiori successi, ma che contiene anche una collaborazione con un’artista del panorama indie italiano, Maria Antonietta. Mondo, quello indie, a cui loro guardano da un bel po’ di tempo anche dal punto di vista della produzione,  attraverso la casa discografica La Tempesta, che produce i maggiori artisti di questo settore.
Ma abbandoniamo le ciance e tuffiamoci nel disco.
Il disco si apre con “Un inverno swing a Pordenone” e lo fa in pompa magna come un sipario che lascia scoperto il palco di uno show. È come fare un viaggio indietro nel tempo e ritrovarsi negli anni ‘30 e ‘40 con le ballerine, che nei loro vestiti scintillanti danzano sulle note del jazz.
Il palco adesso si è appena scaldato ed entra in scena la “Signorina rock time”, i fiati seguono ed accentuano ogni parola che esce dalla bocca di Toffolo come se la canzone fosse sempre stata così. Superbo l’assolo del piano che ci fa improvvisare un piccolo balletto. E quando i fiati lo accompagnano chi si ferma più.
Ed ecco la nota romantica di “Il mondo prima di Elvis” resa ancora più idilliaca dal duetto con Maria Antonietta. A sancire la romance ballad è l’assolo del clarinetto a cui si uniscono poi gli altri fiati. Se la vostra morosa ama questa canzone dedicategliela, questa versione la farà innamorare ancora di più.
La mia vita senza rock” ci fa capire che questa traccia senza la chitarra rock non perde assolutamente, anzi si addolcisce. La grinta della chitarra che chiude la canzone la rende ancora più bella con l’ensemble che l’accompagna.
Spunta adesso una traccia dal sapore esotico, che spezza un attimo il ritmo. È “Puoi dirlo a tutti exotica”, dove dominano i fiati e poi nel finale in sottofondo la voce raggaeggiante di Jacopo Garzia dei Mellow Mood.
I cacciatori fanno il salto di qualità e diventano “Ai cacciatori piace il jazz”.
È il momento di un classico dei classici annunciato dalla voce di Maria Antonietta, “Occhi bassi serenade”. La voce femminile ridà nuova vita al pezzo e poi le due voci si fondono nel classico ritornello. Questo è uno dei pochi pezzi in cui l’Abbey Twon Jazz Orchestra lascia il posto alla voce facendo solo da co-protagonista.
In “Volo sulla mia città con la Big Band” ritorna protagonista la componente musicale sulla quale Toffolo ci canta le sue liriche.
Superba in questa chiave è  “La faccia della Blue Moon”, sarà che già con la versione originale il nostro orecchio si era avvicinato a queste nuove sonorità. O sarà che la traccia è bella. Bella che ti fa versare una lacrima. Bella che ti dà i brividi.
Primitivi del jazz” sembra essere la chiave di lettura dell’intero lavoro. L’album si chiude proprio con quell’aggettivo che si sposa con il viaggio musicale compiuto dai TARM. Tornare alle radici primitive del rock, il jazz.
Che dire… Non riusciamo a non riascoltarlo. Non riusciamo a non viaggiare con la mente in posti, che se nati in un’ altra epoca, sarebbero stati anche i nostri.
Federica Monello
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