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Best New: Obliquido

Gli Obliquido si sono formati nel 2014 da un’idea del compositore e produttore Domenico Toscanini, il loro primo progetto discografico si chiama Se mi dai del Lei morirò prima. L’album include dieci canzoni di matrice jazz/pop. Li abbiamo intervistati per conoscerli meglio, ecco cosa ci hanno raccontato!

Per cominciare e scaldarci, partiamo dalla più classica delle domande… chi sono gli Obliquido, come vi siete formati e perché avete deciso di chiamarvi così.

Dalla fusione di obliquo e liquido abbiamo creato un neologismo, Obliquido, nato per sintetizzare in un’unica parola le caratteristiche fondamentali del nostro progetto musicale. Obliquo in quanto il progetto è trasversale, contaminato e abbraccia molte culture, costantemente a cavallo tra soluzioni armoniche e ritmiche provenienti da derive musicali apparentemente lontane tra loro, spaziando dal jazz al pop, dall’elettronica alla musica africana. Liquido in quanto tutta la nostra musica, come un fluido, prende corpo nella fusione di sonorità e atmosfere che si mescolano creando il nostro mondo musicale. Da qui il mondo di Obliquido, fatto di fluttuazioni di senso sonoro e verbale.

Parliamo del vostro album, come nasce e si è sviluppato? Il titolo accende la fantasia, fa pensare e sorridere: “ Se mi dai del lei morirò prima”, che significato ha per voi?

Immerso in quest’atmosfera stratificata in equilibrio tra fluttuazioni di senso sonoro e verbale nasce questo concept album. Dopo due anni di duro lavoro siamo soddisfatti del risultato e di ciò che rappresenta per noi. L’album ritrae il fascino dell’inafferrabilità della percezione umana attraverso una visione ironica e surreale del mondo contemporaneo. Il titolo sintetizza appunto la capacità che ha ognuno di noi di fare unica e personale la propria percezione della realtà. C’è chi legge il titolo e pensa, chi sorride, chi fa entrambe le cose, chi lo interpreta come la percezione del tempo che passa e fa invecchiare, chi come la percezione di un lei di circostanza per mantenere le distanze. Insomma, ce n’è per tutti.

Tutto risulta ben curato ed elegante già dal primo ascolto. L’album crea bellissime atmosfere, e quelle sonorità elettroniche spiazzano piacevolmente, conferendo secondo il mio parere quel tocco in più. Come nasce l’idea di fondere stili apparentemente inconciliabili tra loro?

Più che un’idea è stato un naturale sviluppo artistico, derivante dal mescolare le musiche di Domenico Toscanini con i testi di Alessio Luise e Donat Munzila e la voce al di là di ogni schema di Laura Boccacciari. E in questo disco abbiamo lavorato dalla prima nota fino al mix e al mastering con passione e senza compromessi.

Vi siete ispirati a qualcuno in particolare? Immagino che ciascuno di voi abbia una formazione e un bagaglio culturale molto diverso. Che musica ascoltate?

Sì, senz’altro le culture spaziano molto, musicalmente e geograficamente, e il disco si è nutrito anche di questo. Ascoltiamo da sempre ogni genere di musica, dalla classica al jazz al pop, il rock, la musica elettronica e la musica tradizionale africana. Ogni genere, se prodotto ai massimi livelli, ha dei connotati che mi incuriosiscono e mi attirano.

Oggi la musica per chi la ascolta superficialmente, si nutre solo di quelle grandi e stereotipate realtà mainstream che ci vengono quasi imposte; per chi invece ama andare alla ricerca costante di nuovi gruppi e cantautori, basta collegarsi in rete e trovare quelle tante e piccole realtà indipendenti. Per il jazz forse è tutto molto diverso, ancora più di nicchia se vogliamo. Qual è la risposta del pubblico a questo tipo di musica in generale e nello specifico ad un album come il vostro? Si incorrono diversi svantaggi nella realizzazione di progetti come il vostro?

La nostra fusione di stili porta a far apprezzare ad un pubblico indie il jazz, ad un pubblico pop l’elettronica e così via e ne stiamo avendo enorme e inaspettato riscontro. C’è chi dice che il jazz è una musica complicata e di nicchia, ma non dimentichiamoci le sue origini popolari. Guarda su youtube, è impressionante vedere i jazzisti suonare negli stadi pieni in America negli anni ’70, era una musica di massa e non c’entra se era più o meno complicata della canzonetta. Spesso la storia si è dimostrata ciclica. Oggi si sentono in radio produzioni che si rifanno alle sonorità dance degli anni ‘80. Domani tornerà il jazz degli anni ’70, magari, rivisitato, contaminato, con un po’ di pop e di elettronica, quello insomma che per noi è già il presente.

Adesso quali sono i vostri progetti?

Ora, dopo mesi in studio, portiamo in giro il nostro disco, per farlo sentire dal vivo al pubblico. Suoneremo in varie formazioni, fino ad arrivare alla messa in scena per fine anno di uno spettacolo teatrale in cui confluiranno arti visuali, danza e multimedialità. Questo è Obliquido.

Simona Bascetta

 

 
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