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Best New: Blandizzi

Redazione Urban

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Blandizzi torna con un nuovo album dal titolo  Da noi in Italia:  in questa intervista ci racconta i suoi nuovi brani ma anche la sua personale visione dell’Italia di oggi, del suo impegno nel sociale e della collaborazione con James Senese.
 
I dodici brani che compongono il tuo ultimo lavoro mettono in luce due anime dell’Italia, una corrotta che dà pugni nello stomaco e una sana a cui bisogna riaccendere il cervello: qual è la tua personale visione della situazione attuale che vive la nostra nazione?
L’Italia si trova in una disperata debolezza culturale, le persone che comandano il Paese vogliono tenerci lontani dai problemi veri,  parlando di soliti luoghi comuni, prendendoci continuamente in giro. In questi ultimi anni circa 3 milioni e mezzo di disoccupati in più, tasse che aumentano, “chi deve arrivare alla fine del mese”. Prima di passare all’euro, negli anni 90 eravamo la quinta potenza mondiale e la prima in Europa. Siamo pieni di menzogne. “È un affare venire qui in Italia, dove tutto funziona con l’Amalia” canto ironicamente nella prima traccia “Da noi in Italia” che dà anche il titolo al mio nuovo album. Il singolo apripista introduce al sistema che spinge all’inganno: trovare la soluzione più semplice per andare avanti. Troppa aggressività che prevale, i media  ci propinano fiction piene di violenza, videogiochi allucinanti, i nostri punti di riferimento ormai troppo lontani dalla bellezza. “Questione solo di mentalità”.
L’attenzione al sociale emerge in quasi tutte le tracce; penso, ad esempio, al brano  Nessuno è più diverso  nato in seguito ad esperienze dirette vissute da te sia con la scuola che con il carcere: una società più giusta su quali valori dovrebbe basarsi?
La società potrà essere più giusta solo se viene aiutata a poterlo essere. Penso che in queste condizioni precarie anche la persona più onesta sia indotta inevitabilmente a sbagliare. Bisognerebbe ripartire dalla considerazione degli ultimi e ritrovare le radici della natura umana ed essere più responsabile nei confronti dell’ambiente. La mia serena rivoluzione vorrei condividerla con ciascuno di voi e iniziare nel nostro piccolo a fare quello che possiamo. Bisogna uscire da quel modo di pensare che tutto e tutti fanno schifo, non è così! Deve riemergere la parte sana del Paese. Comunque, malgrado tutto, c’è “l’Italia che resiste” come dice Francesco De Gregori nella sua “Viva l’Italia”.
Ne Il Commissario Ricciardi, ci porti nella storia della Napoli povera, ma entusiasmante, degli anni Trenta; una canzone struggente e melanconica, ispirata al protagonista dei romanzi di Maurizio de Giovanni, uno dei giallisti più apprezzati d’Italia. Su cosa, in particolare, volevi focalizzare l’attenzione del pubblico e in che modo la scrittura e le storie di De Giovanni incontrano la tua musica?
Il Commissario Ricciardi è un personaggio che se lo incontri non lo lasci più, ti crea una sana dipendenza grazie alla sua autorevole umanità. Intrigante investigatore di anime che attraversa Napoli percependone le frequenze che trasudano dalle mura fino al mare. Ogni pagina di Maurizio de Giovanni suona di immagini, paesaggi, parole, sguardi, persone, odori, luci; entri ed esci dai suoi libri con un pieno di musica. Da qui la mia ispirazione.
In Da noi in Italia omaggi due grandi artisti, Enzo Jannacci e Renato Carosone. Raccontaci meglio le ragioni di questa scelta
Due artisti straordinari, diversi, ma con lo stesso dono dell’ironia. L’omaggio a Jannacci era doveroso per due motivi: “E la vita, la vita” è stato uno dei primi brani che ho imparato a suonare da giovanissimo e mi lega a ricordi indelebili con la mia prima band del quartiere. Il secondo motivo è che la canzone stessa con pungente ironia fotografa quell’Italia che ancora oggi funziona al contrario del buon senso. Con l’omaggio a Carosone invece ritrovo le mie radici, ho scelto “t’aspetto ‘e nove” che è una ballad intensa e struggente che andrebbe più riproposta e rivalutata. Ricordo con piacere immenso di aver conosciuto il maestro il 7 marzo 1998, in occasione di uno spettacolo per l’inaugurazione dell’apertura di un locale di Nino Frassica a Roma.
L’impegno civile delle tue canzoni tocca diverse tematiche: ti soffermi sul disagio che oggi colpisce molti giovani ( E la nostra notte farsi altrove giorno) , in Salvate Venere, Salviamo Venere richiami tutti alla salvaguardia dei beni artistici e culturali, mentre ne  Il sorriso dei Saharawi ci mostri come la dura vita nel deserto non riesca a spegnere il sorriso dei bambini Saharawi. L’arte per te, quindi, deve essere innanzitutto uno strumento di denuncia sociale?
Sì, assolutamente! La musica è uno strumento molto potente che ha la capacità di fare arrivare contenuti importanti lì dove anche molti intellettuali messi insieme non riescono.
Prima di salutarci, parliamo di Con un paese nel cuore, brano che vanta la partecipazione di James Senese, del suo personale linguaggio e del suono incredibile e inconfondibile del suo sax. Come è nata questa collaborazione e in che modo, insieme, avete deciso di raccontare un viaggio lungo la storia dell’Italia che riporta alla luce la memoria e il sapere?
Io dico sempre che la musica è magia, come l’incontro con James Senese. Tutto è nato grazie a Gigi De Rienzo che ha curato gli arrangiamenti di “Con un paese nel cuore”. Insieme pensammo ad un super-ospite come Senese e gli proponemmo di salire con noi “sul treno del tempo” per raccontare con il suo personale linguaggio e il suono inconfondibile del suo sax questo viaggio lungo la storia dell’Italia. Lui entusiasta, accettò. La sua preziosa partecipazione per me è un sogno che si avvera.
 
A cura di Laura De Angelis
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